Continua la battaglia legale delle compagnie petrolifere contro le tasse sugli extraprofitti. Anche Repsol si aggiunge alla lista delle aziende energetiche che stanno contestando le misure nei tribunali di tutta Europa. La compagnia spagnola, insieme a diverse banche, si appellerà alla Corte Suprema di Madrid per chiedere che l’imposta, introdotta in via temporanea dal governo di Pedro Sanchez per agire contro i rincari causati dalla guerra in Ucraina, venga annullata. Secondo i promotori dell’azione legale violerebbe le leggi sulla concorrenza dell’Unione Europea ed è incostituzionale. Non si tratta della prima causa di questo tipo. In Italia, nel 2022, una ventina di società di gas e petrolio avevano fatto ricorso al Tar del Lazio, senza ottenere i risultati sperati, per contestare le modalità di calcolo del tributo italiano. Alla fine dell’anno scorso a muoversi è stato il gigante americano Exxon. Le sue filiali tedesche e olandesi hanno fatto causa proprio contro Bruxelles contestandone la potestà legislativa in materia. Viceversa Repsol vorrebbe l’ Ue come alleato contro lo stato nazionale per evitare un prelievo forzoso dai suoi guadagni.

Già nel 2021, il governo Sanchez aveva varato un pacchetto di misure contro “i profitti eccessivi” delle società che avevano beneficiato dell’aumento dei prezzi del gas, favorito dalla guerra in Ucraina. All’epoca, la norma non colpiva però i produttori. Con quella approvata lo scorso dicembre Madrid punta invece a recuperare 7 miliardi di euro entro il 2024, tassando i guadagni stellari delle banche con ricavi superiori a 1 miliardo di euro e delle società energetiche. Questi fondi serviranno a coprire almeno in parte gli sgravi per le famiglie e ad alleviare il peso di bollette e inflazione. L’Associazione bancaria spagnola è stata la prima a criticare il provvedimento: il pagamento forzoso di 3 miliardi, ha fatto sapere, potrebbe ridurre di circa 50 miliardi di euro la capacità di prestito dei principali istituti spagnoli, poiché riduce il capitale regolamentare su cui sono parametrate l’entità dei finanziamenti che possono essere erogati. Inoltre secondo l’Associazione, una norma simile non ha eguali negli altri paesi europei, distorce quindi la concorrenza ed è discriminatoria. Questo punto è lo stesso su cui è incentrata la causa avviata da Repsol. “Riteniamo che questa tassa sia incompatibile con la Costituzione spagnola e con il diritto dell’Unione Europea – ha dichiarato l’amministratore delegato della compagnia energetica Jose Jon Imaz – Seguiremo le vie legali appropriate per il suo annullamento e in tal caso chiederemo il rimborso delle somme riscosse”.

In realtà anche la Commissione Europea ha approvato un’imposta temporanea, attiva dal 31 dicembre 2022, sugli extraprofitti, ma solo delle società del petrolchimico, del gas, del carbone. Una tassa simile è prevista anche in Gran Bretagna. La norma spagnola include una tassa dell’1,2% sui ricavi delle aziende energetiche e un prelievo del 4,8% sui ricavi da intermediazione e da commissioni delle banche. Secondo le stime, l’imposta inciderà sul bilancio di Repsol per 450 milioni di euro, sulla base dei guadagni del 2022. La società sta tentando di appellarsi anche alle autorità fiscali per recuperare il denaro versato nelle casse dello Stato, dopo il primo pagamento del 20 febbraio 2023. Il ministro del Bilancio Maria Jesus Montero non si è però lasciato intimidire dall’annuncio del ricorso e ha difeso la tassa: “È solo una misura di buon senso che gli Stati membri chiedano un contributo più elevato” alle società e alle banche che hanno registrato profitti record, a causa dei rincari dell’energia dovuti alla ripresa economica post-Covid e alla guerra in Ucraina.

Non sono però molti a pensarla così, almeno tra le compagnie del fossile. ExxonMobil, seconda società petrolifera privata al mondo, ha portato l’Unione davanti al Tribunale europeo di Lussemburgo. Solo gli Stati membri, secondo l’azienda, avrebbero il potere di imporre una tassazione, come quella prevista dalla nuova legge UE. Le big oil sono infatti obbligate a versare a Bruxelles almeno il 33% dei loro utili, se questi superano di almeno il 20% quelli medi del periodo 2018-2021. Grazie ai 43 miliardi incassati nel 2022 (ben 29 in più rispetto al 2021) l’americana dovrebbe pagare circa 2 miliardi di euro. In Italia invece una ventina di compagnie energetiche (Q8, Esso, la municipalizzata romana Acea e la francese Engie) si sono rivolte al Tar del Lazio per contestare il metodo stabilito dall’Agenzia delle Entrate per calcolo del “Contributo straordinario contro il caro bollette”, introdotto a marzo 2022 dal Governo Draghi. Il ricorso però non è andato in porto: è stato giudicato inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione, in quanto anche gli aspetti tecnici della misura risultavano fissati a priori dalla norma, approvata in Parlamento. I guadagni miliardari delle compagnie petrolifere sono motivo di tensione anche negli Stati Uniti: il buyback (riacquisto delle proprie azioni) da 75 miliardi, messo in campo da Chevron per ridistribuire i profitti extra tra i suoi soci, ha fatto infuriare la Casa Bianca. Il gruppo francese aveva promesso infatti di usarli per finanziare nuovi progetti per aumentare la produzione e abbassare i prezzi di petrolio e gas per i consumatori.

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