La risposta contro alcune patologie oggi senza cura potrebbe celarsi in farmaci “vecchi” sviluppati e utilizzati per trattare altre malattie. È qualcosa che succede molto spesso in medicina e che oggi potrebbe rivoluzionare la prevenzione del Parkinson, una malattia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva, che coinvolge, principalmente, alcune funzioni quali il controllo dei movimenti e dell’equilibrio. E forse anche il trattamento di questa patologia che oggi si stima che in Italia colpisca circa 450mila persone e che è in costante aumento, se pensiamo che nel 1990 riguardava 230mila italiani.

Uno studio italiano ha infatti dimostrato che i pazienti che assumono farmaci anti-diabetici sviluppano la malattia di Parkinson mediamente 6 anni dopo rispetto alle persone che non assumono gli stessi medicinali. Lo studio è stato condotto dal Centro Parkinson e parkinsonismi dell’Asst Gaetano Pini-CTO di Milano, con il contributo della Fondazione Grigioni per il morbo di Parkinson, ed è stato pubblicato sulla rivista Journal of Neurology. I risultati si basano su un’indagine coinvolta su oltre 8.000 pazienti visitati al Centro Parkinson tra il 2010 e il 2019, la quale ha fatto emergere che nei pazienti con diabete, che assumono farmaci per questa patologia, l’insorgenza del Parkinson avviene dopo i 66 anni, mentre nei non diabetici la malattia si manifesta intorno ai 60 anni.

“Lo studio suggerisce una proprietà neuro-protettiva dei farmaci anti-diabetici e apre alla prospettiva di somministrare medicinali anti-diabete, come la metformina, che possono essere assunti anche da chi non è affetto da questa patologia, in persone predisposte a sviluppare la malattia di Parkinson con l’obiettivo di ritardarne l’insorgenza” osserva Gianni Pezzoli, primo autore della ricerca, presidente della Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson e dell’Associazione italiana Parkinsoniani- “I dati raccolti sono molto significativi e spingono a indagare non solo la capacità preventiva dei farmaci anti-diabetici ma anche il loro ruolo nel ridurre la progressione del Parkinson quando è già insorto”, aggiunge.

La ricerca è stata possibile grazie alla banca dati del Centro Parkinson e parkinsonismi dell’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano in Regione Lombardia, in cui sono presenti oggi 37.000 pazienti. La ricchezza e la qualità della casistica raccolta hanno consentito di estrarre i dati significativi sull’interazione tra diabete e Parkinson. “Questa pubblicazione getta le basi per l’avvio in futuro di studi clinici comparativi molto solidi – afferma Ioannis Isaias, direttore del Centro Parkinson e parkinsonismi dell’’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano – in cui somministrare i medicinali anti-diabetici alle persone che presentano i fattori di rischio del Parkinson, come la presenza della malattia in famiglia, oppure sintomi antecedenti all’esordio del morbo come ‘l’agitazione notturna’, la riduzione dell’olfatto, e anche ‘segni’ ancora più generici come la stipsi e una lieve depressione”.

I risultati dello studio suggeriscono quindi un ruolo dei farmaci anti-diabetici nel ritardare l’insorgenza del Parkinson e sono in linea con altre pubblicazioni presenti in letteratura scientifica sulle capacità neuro-protettive, osservate su modelli animali, della metformina che potrebbe diventare il farmaco assunto dai non diabetici. Inoltre, lo studio è una solida base per indagare con ulteriori ricerche le proprietà neuro-protettive dei farmaci antidiabetici, ad esempio quelli che in genere si definiscono “sostituti del glucagone”, oltre che la loro capacità di ridurre la progressione naturale del Parkinson.

30science per il Fatto

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