Una coltre di ambiguità è attraversata da un sottilissimo filo conduttore, che sembra poter tenere insieme la guerra russa in Ucraina, il quasi sopito accordo sul nucleare iraniano, il New Start – ultimo pilastro dei trattati sul controllo degli armamenti – ed i connessi rapporti tra Russia e Stati Uniti. E ancora il permanente conflitto a bassa (ma crescente) intensità tra lo stesso Iran e gli alleati americani in Medioriente, in particolare Israele, ma anche le relazioni di Teheran con alcuni paesi europei ed asiatici. Dossier apparentemente separati, che nelle ultime settimane sembrano però aver converso in modo quasi impercettibile, rinfocolando il rischio di una polarizzazione sul piano globale, ed il ritorno all’attualità di scenari imprevedibili. Gli ultimi dieci giorni sono particolarmente complicati da mettere in prospettiva.

L’attacco coi droni e i sospetti su Israele – Sabato scorso il ministero della Difesa iraniano ha fatto sapere di aver sventato una serie di attacchi coi droni su alcuni impianti militari nella provincia di Isfahan, nei pressi dei quali sono state udite una serie di esplosioni, quasi in contemporanea ad un grave incendio divampato in una raffineria ad Azarshahr, nel nord del paese.

A tre giorni dai fatti, poco e nulla appare chiaro. Dapprima una fonte “a conoscenza dell’operazione” ha riferito a Barak Ravid, noto giornalista israeliano di Axios, che l’azione concertata dei droni sarebbe stata “mirata, chirurgica e riuscita, in grado di colpire quattro diverse zone dell’impianto e di raggiungere gli obiettivi prefissati”. Affermazioni che, da una parte, contraddicono quel che ha sin da subito dichiarato il ministro degli Esteri Amir Abdollahian, parlando di “attacco codardo che ha prodotto danni minimi”, e dell’analista militare dell’agenzia governativa Irna, Mohammad Shaltouki, il quale ha fatto sapere che essendo stato già attaccato in passato, l’impianto sarebbe stato recentemente oggetto di una ristrutturazione volta a rafforzarne il tetto e ad installare speciali sistemi di difesa aerea contro i droni di piccole dimensioni; dall’altra, evidentemente, hanno subito indotto a ritenere Israele responsabile.

Una ipotesi confermata da una serie di funzionari americani interpellati dal New York Times, e rafforzata anche dal fatto che dallo scorso 23 gennaio Stati Uniti e Israele hanno iniziato a condurre Juniper Oak 23.2, la più imponente esercitazione militare congiunta mai andata in scena tra i due paesi, col coinvolgimento di B-52, F-35, F-15, F-18, 12 navi da guerra, circa 6400 truppe americane e 1100 delle Israeli Defense Forces.

Come noto, non sarebbe la prima volta che Tel Aviv compie azioni militari in territorio iraniano: nel 2010 erano stati uccisi, con due bombe installate sui loro veicoli, il fisico delle particelle dell’Università di Teheran, Masoud Alimohammadi, ed il fisico nucleare dell’Agenzia per l’energia atomica iraniana, Majid Shahriari; nel 2011 era toccato a al 35enne scienziato nucleare Dariush Rezaeinejad, l’anno seguente a Mostafa Ahmadi Roshan e nel 2020 a Mohsen Fakhrizadeh.

La pista di altri Paesi coinvolti – Eppure, alcuni media sauditi come Al Arabiya e Al Hadath hanno in un primo momento escluso il coinvolgimento israeliano, parlando di “Stati Uniti ed un altro paese, ma non Israele“, ed in ogni caso il punto è che stavolta sembra poterci essere dell’altro, e non sembra qualcosa da poco.

Il giorno dopo l’attacco, infatti, l’incaricato d’affari ucraino in Iran è stato convocato al ministero degli Esteri di Teheran in seguito ad alcuni criptici commenti fatti da Kiev dal consigliere presidenziale Mikhailo Podolyak, che aveva messo in relazione quanto accaduto in Iran con la guerra in Ucraina. “La logica della guerra è inesorabile e omicida. Presenta rigorosamente il conto agli autori e ai suoi complici. Panico nella Federazione russa: mobilitazione senza fine, difesa missilistica a Mosca, trincee a mille chilometri di distanza, preparazione di rifugi antiaerei. Notte esplosiva in Iran: produzione di droni e missili, raffinerie di petrolio. L’Ucraina vi aveva avvertiti”, aveva scritto Podolyak su Twitter.

Immediata ed in qualche modo allarmante la reazione del Supremo Consiglio di Sicurezza Nazionale (Scsn), che attraverso l’agenzia affiliata Nour ha fatto riferimento al tweet stesso, ritenendolo “ammissione indiretta che Kiev partecipi ad azioni contro l’Iran, e ciò non solo ricolloca la loro strategia volta a minacciare la nostra sicurezza ma, nel caso in cui il governo ucraino non prenda le distanze da questo incidente, vi saranno gravi conseguenze sull’Ucraina“.

Qualcuno, dopo che lo scorso 27 gennaio un uomo ha attaccato l’ambasciata dell’Azerbaijan a Teheran, uccidendo un addetto alla sicurezza (anche se l’azione sembra legata a motivazioni personali), ha anche ipotizzato il coinvolgimento di Baku, visto che almeno dal 2014 – ma in particolare negli ultimi tempi, vista anche la recente apertura dell’ambasciata azera a Tel Aviv – i rapporti con Teheran sono abbastanza tesi, poiché l’Azerbaijan ha più volte aperto il proprio spazio aereo ai droni israeliani diretti in Iran, e Teheran ha sostenuto l’Armenia nell’ultimo round di conflitto con esso.

Il collegamento con la guerra in Ucraina – Qualcosa di diverso sembra esserci anche perché diversi osservatori ritengono che l’attacco ad Isfahan stavolta non ha a che fare col programma nucleare o le armi alle milizie filo-iraniane, bensì con il sostegno diretto dell’Iran alla Russia: nel sito sarebbero infatti immagazzinati i missili balistici che Mosca attenderebbe da Teheran, che a sua volta si aspetta una serie di aerei da guerra in cambio – mentre è di qualche giorno fa la notizia della firma di un accordo interbancario tra i due paesi, volto a bypassare le sanzioni e l’esclusione dal sistema di pagamenti Swift, di cui entrambi sono vittime.

Mosca e il nucleare iraniano – Se la possibilità di un ritorno all’accordo sul nucleare iraniano (Jcpoa) è al momento ai minimi storici, lo si deve poi ad una serie di circostanze e di equilibri instabili, che peraltro chiamano in causa anche Mosca. Da un lato, una inedita e mai così “problematica” mancanza di coesione e consenso tra le autorità iraniane, nessuna delle quali – il presidente Raisi in testa, che pure nel tempo ha ammorbidito la sua postura, a differenza del Capo delle Forze armate Mohammad Bagheri e dell’ex negoziatore ed attuale rappresentante della Guida Ali Khamenei, Saeed Jalili – sembra oggi disposto ad assumersi la responsabilità di una direzione netta, né verso una chiusura totale, né verso una apertura.

Dall’altro, perché il dossier nucleare oggi non sembra più soltanto una questione che riguarda Teheran. Il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, dopo aver condannato l’attacco a Isfahan, avvertendo che “tali azioni distruttive possono avere conseguenze imprevedibili per la pace e la stabilità del Medio Oriente”, ha ribadito – toni simili li aveva avuti anche prima della firma del primo storico accordo, poi deliberatamente abbandonato dagli Stati Uniti di Trump – che “i Paesi occidentali devono smettere di giocare, e devono trovare finalmente la forza per giungere a un accordo definitivo sulla ripartenza del Jcpoa“.

Parole pronunciate nelle stesse ore in cui ha avvertito il New Start, ultimo pilastro dei trattati tra Washington e Mosca sul controllo degli armamenti nucleari, potrebbe scadere nel 2026 senza essere rimpiazzato in alcun modo: un fatto che assume particolare rilevanza alla luce della stretta attualità, non solo per quel che riguarda la situazione in Ucraina. Quanto accaduto a Isfahan potrebbe alimentare in qualche modo scenari opposti: una accelerazione ed un rafforzamento della cooperazione militare russo-iraniana, oppure un (voluto) rallentamento.

Se Teheran consegnasse davvero i missili balistici a Mosca, si configurerebbe una violazione della risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che vieta all’Iran questo tipo di operazioni fino al prossimo ottobre, pena il ripristino delle sanzioni Onu, che si sommerebbero a quelle dirette e secondarie da parte degli Stati Uniti – va ricordato che l’Iran vive una profonda crisi economica, ed il tasso di cambio col dollaro in dieci anni è passato da 1:7000 ad 1:450000 della settimana scorsa. Ciò avrebbe ulteriori conseguenze, visto che l’Iran ha sempre ribadito molto chiaramente che nel caso di un ripristino di quelle sanzioni, sarebbe pronta a ritirarsi dal Trattato di non proliferazione nucleare. È possibile che si arrivi ad una situazione intermedia: dopotutto, come accennato, le restrizioni sul commercio dei missili valgono fino ad ottobre 2023, e l’Iran potrebbe volutamente posticipare la consegna di questi missili a Mosca (in passato è accaduto lo stesso a parti invertite). Molto, però, dipenderà dagli sviluppi della guerra in Ucraina, e dalle tante, troppe variabili indipendenti che oggi sono sullo scacchiere.

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