Ha accompagnato più di sessantamila italiani a visitare i campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau. Quest’anno il Treno della Memoria compie diciott’anni e per l’occasione celebra la ricorrenza con la partenza di oltre seimila, tra studenti e adulti, da tutta Italia. Un numero che non è stato mai raggiunto fino ad ora. “Dalla stessa parte” è il messaggio che gli organizzatori hanno voluto diffondere in questa edizione con la consapevolezza che, nonostante tutto quello che accade ogni giorno, il passato resta sempre una chiave di lettura per interpretare il presente e programmare il futuro. Anima di questa iniziativa è Paolo Paticchio, 36 anni, presidente dell’Associazione Nazionale “Treno della Memoria”, nata proprio diciott’anni fa dall’unione di Terra del Fuoco Mediterranea, Babel e Terra del Fuoco Trentino. Parla a ilfattoquotidiano.it mentre sta accompagnando un gruppo di studenti alla visita del ghetto ebraico di Cracovia.

Presidente Paticchio, il suo impegno con il Treno della Memoria nasce diciotto anni fa. Lei, appena maggiorenne, partecipa ad un viaggio ad Auschwitz insieme ad altri cinquanta ragazzi. Da quel viaggio è cambiata radicalmente la sua vita.
Nella prima edizione del progetto, organizzato in Piemonte, ha partecipato una delegazione di cinquanta studenti salentini. Tra questi c’ero io che facevo il quinto superiore. Finita l’esperienza, insieme ad altre persone che avevano fatto il viaggio con me, abbiamo pensato che quel viaggio non poteva finire con il ritorno a casa. L’esperienza della visita ai campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau era stata travolgente e ha messo in discussione molte delle mie scelte. Io che avevo fatto la preiscrizione all’università di Bologna, decido di restare nel mio territorio e fondare un’associazione, Terra del Fuoco Mediterranea, per poter permettere ad altri giovani di fare l’esperienza del viaggio. Il progetto negli anni è cresciuto. Quella che era una collaborazione tra associazioni porta a fondare un’associazione nazionale, Treno della Memoria appunto, che dall’anno della sua nascita mi ha visto impegnato come presidente nazionale. Oggi ho 36 anni: metà della mia vita l’ho spesa per fare in modo che gli studenti italiani possano fare questa esperienza.

In questi 18 anni il Treno della Memoria ha coinvolto più di 60mila tra studenti e adulti italiani.
Nel corso degli anni l’organizzazione è cresciuta sia per coinvolgimento, sia nei contenuti. Siamo consapevoli che la memoria del nostro passato debba essere uno dei motori che dovranno segnare la ripartenza dopo i mesi che abbiamo affrontato e che stiamo vivendo. Per riuscire ad essere “migliori”, infatti, è fondamentale impegnarci nel nostro presente forti della lezione della storia. Non c’è dubbio che i fatti avvenuti nei nel peggiore ventennio della nostra storia e che hanno portato all’abominio della “macchina dello sterminio” rappresentino uno snodo storico fondamentale che è indispensabile non dimenticare. Il Treno della Memoria può essere davvero un faro sul buio del passato e su quanto di più brutto accade ancora oggi nel nostro tempo.

La senatrice Liliana Segre, nei giorni scorsi, ha affermato che ad Auschwitz non si fa la gita, si va in silenzio e a testa bassa.
Per me ogni parola della senatrice Segre è da ascoltare, seguire e la tengo sempre come un monito costante. Ci ritroviamo pienamente nelle sue parole e sentiamo intimamente il suo monito. Aggiungo un altro passaggio. Come Treno della Memoria crediamo fortemente che per fare l’esperienza della visita nei campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau non la si possa fare come una delle tappe di un qualsiasi viaggio. Non a caso prima di questo viaggio facciamo quattro appuntamenti di formazione con docenti universitari e con i volontari dell’associazione proprio per riuscire a dare ad ognuno di loro un bagaglio giusto per fare questa esperienza. È un percorso di conoscenza, un viaggio nella storia e nella memoria riassumibile in tre parole chiave: storia, memoria e impegno.

Sempre Liliana Segre ricorda anche la necessità di un abbigliamento adeguato quando si va in visita in quel luogo sacro come quando il 2 novembre una famiglia affezionata ai suoi morti va al cimitero. Proprio su questo argomento ricorda la famosa pelliccia indossata dalla regina d’Olanda nel 1995 in visita ad Auschwitz.
Ha perfettamente ragione se ciò accade. Il Treno della Memoria non è questo. Quello che mi spiazza più di tutto, dopo tanti anni, è l’emozione, il rispetto e la silenziosa partecipazione di tutti i ragazzi che partecipano. Non ho mai visto un atteggiamento o un comportamento fuori posto. I ragazzi, nonostante tutto quello che si dica, sono più avanti di noi adulti. In questo, gli incontri di preparazione aiutano tanto il loro approccio alla visita. In quei luoghi bisogna entrare in punta di piedi, con lo sguardo e l’animo di chi vuole provare a conoscere per davvero.

Ritornando al viaggio, il Treno della Memoria quest’anno coinvolge non solo Auschwitz, ma anche Cracovia e Berlino.
“Nel 2023 sono dieci le partenze programmate, dall’11 gennaio al 5 marzo, da Puglia, Piemonte, Trentino Alto Adige, Sicilia Lombardia, Calabria, Campania, Umbria, Lazio, Liguria e Toscana. Un vero e proprio pellegrinaggio laico che ha inizio da Cracovia con il Ghetto Ebraico, il Quartiere ebraico di Kazimierz, la Fabbrica di Shindler, il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau e il Museo di Auschwitz. A Berlino, invece, si visiteranno i memoriali che nella città sono dedicati a tutte le “minoranze” che hanno subito sulla propria pelle la barbarie nazista, disabili, lgbtqi+, oppositori politici, rom, e successivamente il campo di concentramento di Ravensbruck, il Memoriale Sovietico di Treptower Park e il Memoriale dell’Armata Rossa.

Il Treno della Memoria è anche l’occasione per conoscere testimonianze dirette. Perché sono più forti le testimonianze dirette dei sopravvissuti ancora in vita, ma anche le storie concrete di chi non c’è più e la possibilità di vedere i luoghi in cui questi avvenimenti sono successi rispetto a tutto ciò che si può leggere nei libri?
Dal primo momento abbiamo pensato che gli incontri con chi ha vissuto quegli orrori fosse di fondamentale importanza. Il progetto, che coniuga attività artistiche, testimonianze dirette della storia, incontri e laboratori, nasce dalla convinzione che la costruzione di una cittadinanza attiva e consapevole non possa prescindere dalla conoscenza della storia e della memoria dei momenti che hanno cambiato il volto dell’Europa e dall’ascolto delle testimonianze dei protagonisti di questi cambiamenti. Per questo, da alcuni anni, organizziamo Living Memory a Trento con gli ultimi sopravvissuti che hanno vissuto l’orrore della Shoah. Quest’anno abbiamo ospitato Oleg Mandic, noto come “l’ultimo bambino di Auschwitz”, Regina Sluszny, una bambina nascosta ai rastrellamenti e che ha vissuto durante la guerra con una famiglia non sua sotto falsa identità, Liliana Manfredi, l’unica sopravvissuta della strage della Bettola ed è la “Lili” protagonista di una canzone dei Modena City Ramblers. Per questo ogni anno siamo presenti al Salone del Libro con un nostro stand in collaborazione con la casa editrice del museo di Auschwitz e Birkenau e ci facciamo promotori di incontri e dibattiti. Le loro testimonianze sono fondamentali e ci riportano ancora di più con la mente e con il cuore alle brutalità assurde perpetrate in quegli anni.

Quanto è importante il valore della memoria in un tempo in cui è molto facile dimenticare?
È imprescindibile. Specialmente ora che, con il passare degli anni, vengono sempre meno le testimonianze dirette con cui ha vissuto gli orrori della Shoah. Più passano gli anni più ciascuno di noi è chiamato a moltiplicare il proprio impegno per continuare a ricordare questo pezzo di storia, per fare in modo che sempre più persone vogliano diventare testimoni dei testimoni, che una nuova generazione sia pronta ad imparare la lezione della Storia. Mi piace ricordare, facendo riferimento alla memoria, proprio una frase della senatrice Segre che ogni giorno mi spinge a fare sempre di più nella vita quotidiana: coltivare la memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare.

Articolo Precedente

“Ogni treno che sento mi fa ripensare a Birkenau. Sulla Shoah i giovani più preparati dei loro genitori”. La memoria di Tati Bucci, la bambina che scampò a Mengele

next
Articolo Successivo

Marcello Pezzetti, lo storico dei film da Oscar: “La mia prima volta ad Auschwitz 50 anni fa. E non ne sono più uscito: la mia ricerca non è ancora finita”

next