Dopo le polemiche e lo scontro sulle regole, il rischio di una frattura interna in casa Pd sul nuovo Manifesto dei valori, tra l’area ‘riformista’ (ed ex renziana), vicina alle posizioni di Stefano Bonaccini, e la sinistra Pd, è stato scongiurato con l’ennesimo compromesso. Un testo che però si limita più a enunciare principi generali, senza svolte radicali, richieste soprattutto da chi rivendicava “un partito nuovo”. Richiama l’art.3 della Costituzione, spiega che “disuguaglianze, povertà, discriminazioni e marginalità sociali sono il più grande impedimento a ogni forma di coinvolgimento collettivo e di emancipazione”, si spinge a parlare di “Stato regolatore”, rivendica il salario minimo e la lotta alla precarietà. Eppure non cancella la Carta dei valori veltroniana del 2007, ma si limita a integrarla. Tradotto, il rischio resta quello di un maquillage, per non scontentare nessuno, buono per tutte le correnti. Tanto che pure lo stesso Bonaccini alla fine spiega: “Condivido il documento, ma la Costituente non finisca qui”. Anche se tra i suoi c’è chi avverte, come Pina Picierno: “Ho sentito che questa sarebbe la Costituente che dovrebbe riparare quindici anni di errori. Lo ridico con chiarezza, questa tesi non mi convince e non mi convincerà mai”. Tradotto, nessuna abiura del passato, né della stagione renziana.

E la sinistra interna? Basta qualche principio generale per cantare vittoria o quasi: “Non è un compromesso con poco coraggio”, si difende Francesco Boccia, coordinatore della campagna di Elly Schlein. “Che elementi di novità ci sono? Facendo scelte di sinistra quando a Palazzo Chigi c’è una donna che è orgogliosamente di destra. Come la centralità del lavoro, la lotta alle diseguaglianze, il no all’autonomia spacca Italia di Calderoli”, aggiunge.

E pure Andrea Orlando, che da settimane spingeva sulle radici socialiste per il nuovo Pd, si accoda: “Mi sembra un compromesso positivo. Il punto è utilizzare fino in fondo questo compromesso per fare un passo avanti tutti insieme, perché in un partito in difficoltà chi non vuole cambiare rischia di non far l’interesse del partito stesso. Non ci sarebbe stato nulla di scandaloso in un cambiamento tout court del manifesto originario”.

Gianni Cuperlo, invece, tra i candidati alla segreteria, si spinge avanti: “Mi sembra un lavoro giusto, ma ora serve coerenza tra ciò che diciamo e quello che poi facciamo”. A partire dal lavoro: “Una legge sul salario minimo e quella sulla rappresentanza sono necessarie. Così come, al di là dei numeri attuali in Parlamento, bisogna insistere sui diritti, come lo ius soli: perché la destra si combatte in Aula, ma anche nel Paese”, rivendica.

Su precarietà e lavoro anche l’altra candidata Paola De Micheli spiega: “Sono per la riscrittura di un nuovo Statuto dei lavoratori, per rispondere anche a chi oggi è escluso. Jobs Act da archiviare? Non voglio più rivolgermi al passato”, spiega. Tra i sostenitori di Bonaccini c’è anche chi come Brando Benifei punta a spingere l’agenda del presidente della Regione Emilia Romagna più a sinistra: “Non ha bisogno di patenti sul lavoro, le sue parole sono nette, parla di lotta al lavoro povero, salario minimo compreso, e di rendere i contratti stabili più convenienti”.

Di certo, al di là della lotta tra le correnti dem, il nuovo manifesto dei valori basta agli ex bersaniani di Articolo Uno per rientrare a casa: “Documento troppo vago per aderire a un partito nuovo? No, mi sembra un passo avanti molto importante”, anticipa il segretario ed ex ministro della Salute Roberto Speranza. E pure il coordinatore Arturo Scotto parla di una nuova stagione, “si sceglie la lotta alle diseguaglianze e il superamento del Jobs Act”. Eppure, ammette, c’è ancora molto da fare: “Mancano tante cose, ma è una lotta che continua”. Per ora tanto basta alla vecchia Ditta per tornare nel Pd, con una ‘pennellata’ di sinistra di più. Con gli ex scissionisti ora pronti a sostenere Schlein: “Lei è autenticamente di sinistra”, conclude Maria Cecilia Guerra.

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