A poche ore dall’annuncio da parte del governo di Elisabeth Borne, il 10 gennaio, sulle misure della riforma sulle pensioni, è stata svelata la prima data di mobilitazione sindacale contro il provvedimento clou del secondo mandato di Emmanuel Macron. Il 19 gennaio scatta quindi la prima giornata di protesta a cui hanno aderito, per la prima volta da 12 anni, tutti gli otto principali sindacati francesi che si oppongono fermamente all’aumento dell’età pensionabile dai 62 ai 64 anni. Una prima manifestazione che, secondo un loro comunicato, dovrebbe essere “l’avvio di una potente mobilitazione sulle pensioni a lungo termine”, con lo scopo di impedire una riforma che definiscono “brutale”. Questo nonostante sia già stata modificata rispetto al progetto di legge del 2020, messo da parte a causa della pandemia, dopo che centinaia di migliaia di manifestanti erano scesi in strada per quasi due mesi tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020.
Una seconda giornata di proteste, fissata al 21 gennaio, era stata invece già annunciata a inizio dicembre da diverse organizzazioni giovanili e studentesche. Al loro appello per un contrattacco comune alla riforma si sono uniti diversi partiti di sinistra.

Se la destra dei Repubblicani ha visto le proprie rivendicazioni riconosciute nel nuovo testo di legge presentato dal governo, rispetto a quello più duro del 2020 che prevedeva un’età pensionabile a 65 anni, e appoggia quindi la riforma, la sinistra e il Rassemblement National di Marine Le Pen denunciano una riforma “ingiusta”. Un giudizio condiviso dalle organizzazioni sindacali, come spiega Didier Mathis, segretario generale di “UNSA Ferroviaire” e impiegato presso la SNCF, la Società nazionale delle ferrovie francesi. “Non è assolutamente una riforma equa, direi anzi che è una riforma iniqua poiché sono coloro che hanno le condizioni lavorative più difficili ad avere più difficoltà ad andare in pensione due anni più tardi. La maggior parte delle imprese si sbarazza di queste persone appena possibile perché la vecchiaia intacca soprattutto le condizioni fisiche. E sono i mestieri più usuranti quelli dove è più difficile essere riassunti dopo un licenziamento”, spiega.

Ad oggi, solo un terzo dei francesi con più di 60 anni ha un lavoro. Come spiegano anche alcuni ricercatori come Bruno Palier, le categorie che subiranno più duramente le conseguenze della riforma saranno probabilmente quelle meno qualificate e con i mestieri più usuranti. Considerando anche che la differenza di aspettativa di vita tra un operaio e un dirigente è di 6,4 anni. La gravosità è infatti un criterio “completamente occultato” dalla riforma secondo Mathis e i sindacati che scenderanno in piazza oggi. Sebbene la prima ministra francese abbia sottolineato di voler “prendere in considerazione l’usura professionale legata alle modalità d’esercizio di certi mestieri”. Fumo negli occhi per il sindacalista che ricorda che il fatto di trasportare carichi pesanti, già escluso nel 2017 dai criteri di gravosità, non sarà reintegrato ma sostituito da un esame medico, a cui i sindacati si oppongono. “È praticamente il criterio più importante. Non sarà una visita medica a fare la differenza”, sostiene.

Inoltre, tra i mestieri più logoranti, oltre che precari, vi sono spesso i lavori svolti dalle donne, anche loro tra le prime categorie colpite dalla riforma. Oggi le pensioni a cui hanno diritto in media le donne sono più basse del 40% rispetto a quelle degli uomini. E questo gap abissale, raddoppiato rispetto a quello salariale, potrebbe essere ancor più accentuato dalla riforma che penalizza le carriere incomplete e frammentarie, ma anche i lavori part-time, all’80% svolti da donne. Ad esempio, una delle nuove misure evidenziate dalla prima ministra è stata la rivalorizzazione delle pensioni minime che saranno aumentate fino a circa 1.200 euro mensili da quest’anno. Una misura che riguarderà però solamente le carriere complete, escludendo così una buona parte della popolazione femminile.

Ulteriore riprova dell’iniquità della riforma, secondo i sindacati, è la volontà dell’esecutivo di abolire i “principali regimi speciali”, ossia dei regimi specifici ad alcuni mestieri, spesso considerati particolarmente usuranti, che contemplano ad esempio una pensione anticipata. Molti di questi, come il settore dei trasporti o dell’industria elettrica e del gas, verrebbero annessi al regime generale delle pensioni, perdendo i loro vantaggi, solo però per i nuovi assunti). Nel caso della SNCF dove lavora Didier Mathis, il regime speciale è stato già abolito nel 2020, mentre quello della RATP, la società che gestisce i trasporti di Parigi e della sua regione, dovrebbe sparire con la riforma. Un settore, quello dei trasporti, che ha già oggi grandi difficoltà ad assumere: “Non ci saranno più assunzioni. I salari non sono aumentati, quindi il mestiere non è più attraente per i giovani che arrivano sul mercato del lavoro. Prima i salari bassi venivano compensati dai vantaggi del regime speciale. Visto che questo oggi non esiste più, non c’è più nessuna utilità a venire alla SNCF”, spiega il sindacalista che ha cominciato a lavorare nella società ferroviaria a 16 anni e che ora, con la riforma e l’aumento del periodo contributivo a 43 anni a partire dal 2027, andrà in pensione a 60 anni.

“Il governo ci spiega che la riforma sulle pensioni sarà la madre delle riforme. Per noi, sarà la madre delle battaglie”, ha messo in guardia, durante una conferenza stampa, Eléonore Schmitt, studentessa di 22 anni e segretaria nazionale di “L’Alternative”, una federazione di sindacati studenteschi. Insieme a sindacati e partiti politici, sono anche i giovani a guidare le mobilitazioni attraverso le organizzazioni giovanili e studentesche. “È importante che i giovani manifestino intanto perché la riforma ci riguarderà più tardi. Poi, aumentare l’età pensionabile porta anche ad aumentare la disoccupazione giovanile, quando il tasso di disoccupazione è già del 17,8% tra i giovani. E di fronte a questo, le politiche per l’occupazione dei giovani sono ben poche”, afferma la sindacalista. A febbraio 2022, la Corte dei Conti definiva il piano del governo relativo alla disoccupazione giovanile costoso e poco efficace.

La riforma interviene infatti in un contesto di inflazione (del 5,2% nel 2022) ma anche di crisi in diversi servizi pubblici, in particolare nell’istruzione e nella sanità. Allo sciopero di oggi dovrebbero aderire infatti molti insegnanti, con una partecipazione prevista di circa il 70% nella scuola primaria. “Tutto il sistema educativo è precario. La popolazione è precaria e il contesto in cui arriva questa riforma è davvero particolare. Ci sono stati degli scioperi che non avevamo visto da qualche anno, come quello delle raffinerie”, ricorda Schmitt. La scorsa settimana i sindacati del settore del petrolio hanno annunciato diverse giornate di sciopero, facendo pressione sul governo con la minaccia di uno scenario simile a quello verificatosi tra settembre e ottobre, quando lo stop delle raffinerie aveva provocato gravi difficoltà di approvvigionamento di carburante.

Per i giovani, in ogni caso, prendere parte alle manifestazioni è anche una forma di “solidarietà intergenerazionale”, dice Schmitt. “Non ci riguarda oggi ma se guardiamo alle diverse riforme che si sono succedute negli anni possiamo essere sicuri che ve ne saranno altre e se continua così non avremo nessuna pensione”. La riforma del governo francese verrebbe infatti ad aggiungersi a cinque riforme sulle pensioni varate negli ultimi trent’anni. E anche gli esempi di proteste passate non mancano. Nel 1995, il “Plan Juppé”, dal nome del primo ministro dell’epoca Alain Juppé, viene abbandonato dopo tre settimane di sciopero e manifestazioni che bloccano il Paese. Anche lì, i manifestanti si opposero all’abolizione dei “regimi speciali”. Nel 2010, invece, sotto il governo di Nicolas Sarkozy, una riforma che punta a ritardare l’età pensionabile da 60 a 62 anni è stata approvata, malgrado le proteste a cui prendono parte 3,5 milioni di persone secondo i sindacati. È a questi esempi che si ispirano alcuni manifestanti di oggi: “La gioventù manifestava già nel 2010 e se andiamo a vedere il discorso dell’epoca ci rendiamo conto che ci viene proposto sempre lo stesso progetto, quello di far lavorare sempre più duramente e sempre più a lungo i francesi. Per questo ci ispiriamo alle manifestazioni passate e sappiamo che in alcuni casi si è anche riusciti a far recedere il governo. Oggi pensiamo che la gioventù possa essere la scintilla della mobilitazione e riuscire a far retrocedere Macron è una necessità”, commenta la giovane sindacalista. Didier Mathis, che ha partecipato da giovane alle manifestazioni del 1995, è più incerto: “Il contesto è diverso e bisognerà vedere quante persone manifesteranno contro la riforma”. In ogni caso i sindacati sperano in un movimento “massivo” e Philippe Martinez, numero uno del sindacato CGT, ha detto aspettarsi “milioni” di manifestanti.

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