Nell’estate del 1986 il presidente della Sampdoria Paolo Mantovani trova l’accordo con Silvio Berlusconi per il passaggio di Gianluca Vialli al Milan. Luca ha 22 anni e solo una manciata di gol nelle prime due stagioni in Serie A, ma la vittoria da protagonista della Coppa Italia l’anno prima gli ha fatto capire che con quel gruppo di compagni pressappoco della sua età può aprire un ciclo. A Genova sta da dio: il mare, le ragazze, gli amici, i soldi. “Presidente, se per lei non è un problema, io rimango qui!”: è probabilmente la frase più significativa di tutta la storia blucerchiata. Se Vialli avesse accettato il Milan, a Genova sarebbero arrivati denari e come contropartita il difensore Catello Cimmino. Il club non avrebbe messo in bacheca fino al 1992 altre due Coppa Italia, una Coppa delle Coppe, uno scudetto e una supercoppa Italiana. Senza Vialli, eroe di quelle vittorie – capocannoniere l’anno dello scudetto, capocannoniere in Europa e capocannoniere in un’edizione del trofeo nazionale – la storia della Sampdoria non sarebbe stata quella che è stata. Per quella frase, per i gol e per quanto dato in campo Vialli è tra i calciatori più amati a Genova. Forse anche più del suo gemello in attacco e amico vero nella vita Roberto Mancini, il cui addio nel 1997 ha diviso il tifo doriano tra colpevolisti e non. In Vialli non è mai stata avvertita alcuna ambiguità. Ha amato ed è stato amato.

Gli hanno voluto bene perché in partite come le due contro l’Inter l’anno dello scudetto, oltre a fare gol, si è preso carico per intero del peso dell’attacco facendo un lavoro eroico. All’andata in 10 per l’espulsione del sovietico Mychajlyčenko e al ritorno perché era stato espulso Mancini, questa volta assieme a Bergami. Dopo il 2-0 di San Siro Giampiero Galeazzi aveva chiesto a Vujadin Boskov: “Come si dice scudetto in jugoslavo?”. Insomma il tricolore era vicino vicino. Il primo per la Sampdoria, il primo per Vialli. In quegli anni la squadra e il giocatore viaggiavano in sincro. Vialli era arrivato alla Sampdoria nell’estate del 1984, nel trasferimento di calciomercato che aveva portato l’idolo di casa Alviero Chiorri alla Cremonese e lui a Genova facendo il percorso inverso. Chiorri era stato una promessa di felicità nel momento in cui Mantovani aveva preso la società in mano ma Alviero – a detta di tre diversi ct della Nazionale italiana uno dei più talentuosi calciatori italiani – non aveva mantenuto quanto sembrava all’inizio. Vialli che l’aveva sostituito, pian piano anche nel cuore dei tifosi, si era rivelato un uomo di parola.

Nel 1988 da ragazzo ironico, intelligente e con il gusto dello show aveva detto ai giornalisti che lo aspettavano: “Ho firmato”. Per chi? “Per noi!”. C’era davvero un’immedesimazione completa tra lui e il popolo doriano. Dopo la vittoria del primo scudetto, nato anche dalla delusione dei campioni doriani patita al Mondiale di Italia 90, c’era da puntare alla Coppa dei Campioni. Qualche settimana prima della finale con il Barcellona aveva rilasciato un’intervista, in cui poneva dei dubbi su come stesse lavorando la società doriana, dimostrandosi preoccupato per il futuro blucerchiato. Al presidente Mantovani venne d’istinto chiamare in quel momento Boniperti, che corteggiava da anni il più forte centravanti italiano per portarlo alla Juventus.

Durante la finale di Wembley Vialli sbagliò gol che di solito non sbagliava. Uscì addirittura per crampi, lui che fisicamente era un leone. Dopo la sconfitta ai supplementari in spogliatoio piangevano tutti. C’è aria di addio. Non capiterà più un’occasione del genere per questo gruppo. Eppure 29 anni dopo, Vialli da capo delegazione e Mancini da commissario tecnico della Nazionale si troveranno nuovamente a Londra a giocarsi un Europeo. Dopo il triplice fischio Gianluca e Roberto sono davanti alla panchina e si abbracciano piangendo di gioia. Vialli è già a conoscenza della malattia che l’ha colpito nel 2017, Mancini da amico fraterno gli è stato accanto nei durissimi momenti iniziali. La loro amicizia sin dal primo giorno in blucerchiato ha sempre emozionato i tifosi, soprattutto i più piccoli che insieme li vedevano come una coppia di supereroi invincibili. Quando nel 1992 lasciò la Sampdoria per la Juventus, per consolarsi e consolare i tifosi delusi disse che un giorno lontano sarebbe ritornato a Genova, magari con la pancetta e la barba bianca da vecchietto. Purtroppo non ha fatto in tempo.

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