Coraggio. Se c’è una parola che può essere associata a Gianluca Vialli è coraggio: nel lanciarsi su un pallone contro i più forti difensori della Serie A, nell’andarsene all’estero quando non lo faceva nessuno, nel rinunciare alla nazionale o nel combattere il cancro. Il coraggio dettato da una personalità forte, un carattere puntiglioso, perfezionista e sicuramente difficile e da una intelligenza evidente. Una storia che inizia da Cremona, in una famiglia agiata: ultimo di cinque figli e il pallone sempre sotto il braccio. Riccioluto, spericolato ma furbo: all’oratorio corre e segna tanto e lo nota il Pizzighettone che lo prende nei Giovanissimi, ma è fuori quota per qualche giorno, si scoprirà poi, e allora ne approfitta la Cremonese. Mezzo milione e passa in grigiorosso. A 16 anni arriva l’esordio tra i professionisti: in Serie C, con Vincenzi a lanciarlo. Poi l’approdo in B e i primi gol, con Mondonico in panchina: 5 alla prima stagione, 8 alla seconda e 10 alla terza.

Su di lui mette gli occhi la Samp di Mantovani, che ha l’obiettivo di concorrere per i vertici del calcio italiano: in blucerchiato trova Mancini, un altro con un carattere fortissimo, ma è uno dei rari casi in cui quel mix esplosivo non deflagra, per quanto instabile. Nasce una favola bellissima, al netto di qualche difficoltà, come quando nei primi due anni, non essendo il tipo di centravanti che i tempi prevedevano, Vialli viene schierato anche come ala. La realtà però dice altro: Vicini lo schiera centravanti agli Europei Under 21 del 1986, con Gianluca che lo ripaga diventando capocannoniere del torneo (l’Italia però arriva seconda). Boskov prende appunti: Vialli diventa centravanti, Mancini accanto a lui, per la prima volta dai tempi di Pulici e Graziani viene rispolverato il soprannome di “Gemelli del Gol”.

22 gol in due nella prima stagione a guida Boskov, con la Samp che arriva sesta, 19 gol nella seconda stagione con i blucerchiati quarti ma vincitori della Coppa Italia, addirittura 43 gol nella terza stagione, di cui 32 solo Vialli, che valgono la vittoria della Coppa Italia e la finale di Coppa delle Coppe, persa col Barcellona. Per quel ragazzo che fa gol in ogni modo arriva un’offerta irrinunciabile del Milan di Berlusconi, di quelle che a fine anni ’80 non faceva nessun altro: Vialli rinuncia. Il Milan è il Milan, lui vuole continuare ad essere “Vaialli” come lo chiama Vuja. Divertono e si divertono i ragazzi della Samp: grazie alle capacità di Boskov di cementificare un gruppo che, come racconterà lo stesso Vialli, “andava a dormire con la maglia della Samp”. Certo non mancano gli screzi tra due caratterini tutt’altro che facili: per lo più per questioni di passaggi mancati, roba che si risolve in campo con un assist dell’uno o dell’altro. Un quadro splendido che vale la storica vittoria dello scudetto nel 1991 e nella cavalcata in Coppa dei Campioni nell’anno successivo: in finale contro il Barcellona a Wembley Vialli esce ai supplementari, 12 minuti dopo la bomba di Koeman che vale la vittoria dei blaugrana, ancora.

Le lacrime di Wembley non sono le uniche di quella stagione: a un pranzo Gianluca annuncerà la trattativa, molto avviata, con la Juventus. Mancini identificherà in quel momento “l’addio alla gioventù”. La Juventus sborsa circa 40 miliardi tra soldi e giocatori, all’epoca record assoluto per un calciatore, ma i primi momenti in bianconero però saranno da incubo: il feeling con Trapattoni non c’è, con Baggio l’intesa non è come quella con Mancini e gli infortuni lo tormentano. Il sogno sarebbe tornare a Genova ma il primo a dirgli che non si può fare è proprio Mantovani. Non va meglio in nazionale, dove dopo i mondiali del 1990 è arrivato Sacchi: due personalità forti vanno inevitabilmente a cozzare e Gianluca preferisce rinunciare alla nazionale. A Torino però con l’arrivo di Lippi è tutta un’altra storia: l’allenatore che arriva dal Napoli lo tira a lucido e lo rende protagonista assoluto del suo progetto tattico, Vialli ripaga con 17 gol in campionato – tra cui veri e propri capolavori – e due in Coppa Uefa. Agnelli è entusiasta di vedere quel centravanti, tanto che chiederà cosa lo avesse riportato a quei livelli dopo i primi due anni in sordina. Il meglio però deve ancora venire: nella stagione successiva segna 11 gol in campionato e 2 in Champions, con la Juvenus che vince e Gianluca che la alza da capitano.

Ma la sua esperienza in bianconero è al termine: Vialli lo capisce, e in un momento in cui l’Italia è una comoda comfort zone per tutti lui ha il coraggio di andare via, direzione Londra. Gullit lo vuole al Chelsea, ma quasi subito i due entrano in conflitto, con Vialli che finisce in panchina. La prima stagione si conclude però con la vittoria della Fa Cup, nella seconda Gullit va via e Gianluca assume il ruolo di allenatore-giocatore. E’ protagonista allora di una storica vittoria europea: la Coppa delle Coppe, dove segna anche sei gol, poi la Coppa d’Inghilterra e la Supercoppa Europea e la qualificazione in Champions League: ma gli screzi con alcuni dei big dello spogliatoio lo portano al licenziamento. Riparte dal Watford, ma per un carattere come il suo, perfezionista al massimo, allenare diventa una fonte di stress troppo grande: allo stesso tempo attenderebbe una chiamata dall’Italia, d’altronde in pochi anni di esperienza in panchina sono arrivati diversi trofei. Ma quella chiamata non arriverà, e allora Gianluca diventerà un affermato opinionista televisivo. Diventa esempio quando annuncia la malattia e racconta la sua battaglia: un esempio che culmina quando si ritrova accanto a Mancini come capo delegazione dell’Italia agli Europei del 2021. La coppia si dimostra ancora una volta vincente: sanno tutti come va a finire. Nell’ultima settimana l’annuncio dell’addio alla nazionale: “Col mio team di oncologi ho deciso di curarmi per tornare più forte di prima”. Poi l’epilogo, purtroppo diverso.

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