“Mia moglie Maria Teresa prende 250 euro di pensione. E così supera il limite di reddito perché una persona possa essere a carico del coniuge”. Ezio, 77 anni, ci prova da quando la moglie non lavora più a sbloccare la situazione. Perché se la compagna non è a suo carico, non può detrarre le medicine che deve prendere ogni mese. Tutto è a norma di legge, ma sono proprio le norme a ingarbugliarsi l’una sull’altra e a rendere complicata questa vicenda. Pensioni, incapienza e assegno familiare sono i protagonisti della storia. “La nostra posizione per lo Stato non esiste. Sto cercando di fare rete anche grazie al sindacato. Per ora non ho risolto nulla. E sono già passati 14 anni”.

Se 250 euro sono troppi – “Non è solo per i soldi, è una questione di principio che non mi dà pace. E non sono l’unico a trovarmi in questa posizione”, chiarisce Ezio, che vive in provincia di Parma. La pensione di Maria Teresa, 3.250 euro all’anno, supera i 2.840 euro, il tetto massimo per cui una persona può essere considerata a carico del partner. In gioco ci sono meno di 400 euro, che hanno però conseguenze non trascurabili per due pensionati: “Siccome mia moglie non è a mio carico, non posso prendere gli assegni familiari, circa 80 euro al mese” – spiega – “E non posso detrarre le medicine di cui mia moglie ha bisogno”.

Maria Teresa ha subito un trapianto della cornea ed è diabetica: alcuni farmaci sono passati dallo Stato, ma non tutti. “Quando nel 2019 il governo ha innalzato la soglia massima per essere considerati a carico per quanto riguarda i figli, mi sono illuso che potesse cambiare qualcosa anche per i coniugi”, racconta. Poi però il tetto è stato portato a 4.000 euro solo per i ragazzi al di sotto dei 24 anni. Lo Stato, quindi, ha implicitamente riconosciuto che 2.840 euro siano pochi, ma ha escluso dall’innalzamento della cifra i pensionati come Ezio e Maria Teresa. “Questo limite è fermo da più di 20 anni: basterebbe alzarlo di poco per adeguarlo anche al costo della vita, come è già stato fatto in diversi altri ambiti”, ragiona Ezio.

La moglie non può chiedere l’integrazione per la pensione minima: il reddito coniugale è troppo alto. Il marito può contare su una buona somma che ogni mese gli viene corrisposta per aver lavorato tutta la vita come insegnante: 1.700 euro netti, da dividere però in due e che devono coprire anche le spese per la salute di Maria Teresa.

A 77 anni in manifestazione – Maria Teresa si trova anche in un altro limbo: con 250 euro al mese di pensione, frutto di 15 anni di contributi Inps versati come impiegata, si è considerati incapienti. Ben al di sotto degli 8.500 euro annui della no tax area: non dovendo pagare le imposte, non può nemmeno lei detrarre i farmaci che ogni mese le servono. Insieme con il marito ha provato a rivolgersi prima alla Cisl, poi alla Cgil: “È una questione di forza e di numeri, spesso il sindacato giustamente si occupa di temi più gravi e che riguardano ancora più persone”, sottolinea Ezio.

“Sarà un problema riuscire ad arrivare a una soluzione: i politici non si interessano molto a questo genere di questioni”. Fabrizio Bona, sindacalista Cgil che segue i pensionati in provincia di Parma, non si fa illusioni. “Sono diversi gli elementi contrastanti nella storia: dalle pensioni agli assegni familiari”, argomenta. Ma proprio perché tutto è a norma di legge, fare rivendicazioni sindacali e trasformare la storia di Ezio in un caso pilota è complesso: “Noi però continuiamo a provarci”, taglia corto, senza nascondere che “ci sono diversi casi come quello di Maria Teresa”. Non per questo, però, neanche Ezio si perde d’animo: “Sono andato in manifestazione a Roma con il mio cartello in mano, ma evidentemente le priorità della politica sono altre”, conclude.

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