Alla fine del primo anno dell’invasione, in Russia i sostenitori della guerra sono visibilmente delusi dall’esercito e dal presidente Vladimir Putin. Un punto al centro dell’attenzione per il centro investigativo non-profit russo Dossier, che ha studiato i risultati di due sondaggi commissionati dal Cremlino tra i «patrioti radicali», il pubblico di politici, giornalisti e blogger pro-guerra che sostiene il regime e la sua “operazione speciale“.

“Patrioti sempre più delusi” – Il primo sondaggio fu condotto a luglio. L’umore dei “patrioti” poteva essere definito ottimista: dopo le sanzioni la loro vita non era cambiata molto, e generalmente si sono adattati alla nuova realtà. Il principale fattore di insoddisfazione è stato il protrarsi della cosiddetta “operazione militare speciale”, che si è trasformata in una guerra vera e propria e anche in uno scontro con il mondo intero, per il quale, secondo gli intervistati, il Paese non era pronto. Tuttavia, in estate erano ancora piuttosto aggressivi e insistevano sulla completa resa delle autorità ucraine, mentre i piani di conquista includevano i territori dal Donbass a tutta l’Europa.

Il secondo sondaggio è stato condotto a novembre, dopo una serie di importanti sconfitte delle truppe russe e una maldestra mobilitazione su larga scala all’interno del paese. I «patrioti» intervistati dimostravano ormai più paura che le azioni militari sarebbero state spostate sul territorio della Russia. Sospettavano anche che lo stato potesse nascondere perdite tra i militari e si preoccupavano per l’approvvigionamento dell’esercito. La maggior parte degli intervistati ha ammesso la potenziale perdita in guerra, ma in questo caso, l’atteggiamento nei confronti del presidente e del governo si deteriorerebbe quasi per tutti. Alcuni «falchi» erano rimasti così delusi dall’esercito russo da essere spinti a proporre di cedere i territori occupati fino alla Crimea, solo per porre fine alla guerra.

Il cambiamento di umore e di morale nel campo filogovernativo è notato anche dall’analista e stratega politico russo Abbas Gallyamov: “Certo, il malcontento tra i loro ranghi sta crescendo. Sono molto delusi dalla mancanza di vittorie, non sono per niente soddisfatti di quanto sta accadendo al fronte. Cerco di monitorare i social network, i gruppi regionali, i commenti delle persone comuni: lì è tutto molto evidente”.

Lo rende evidente anche un’altra indagine sociologica condotta dal centro di statistiche indipendente russo Levada. Da agosto a ottobre, il numero dei sostenitori della «guerra fino alla fine vittoriosa» tra la popolazione russa è sceso dal 48% al 36%, mentre il numero dei sostenitori dei negoziati di pace è aumentato dal 44% al 57%. Anche oggi il divario tra pro-guerra (41%) e pro-pace (53%) rimane considerevole. “Chi ha causato un calo così netto? In gran parte sono stati questi «patrioti» delusi”, dice Gallyamov. “La periferia del campo politico di destra si sta fortemente sgretolando, le persone si stanno spostando nel campo dei sostenitori dei negoziati di pace. Ciò conferma che le persone stesse non vogliono combattere”.

La differenza coi veterani del 2014 – Nel frattempo, i cosiddetti corrispondenti di guerra, pur essendo filogovernativi, si sono permessi di criticare le decisioni dei generali e ufficiali russi fin dall’inizio, e sono stati spesso i primi a riferire sui fallimenti dell’esercito russo al fronte. Anche se, dopo che il portavoce di Putin Dmitry Peskov ha pubblicamente esortato i critici a “stare molto attenti”, e Putin stesso ha tenuto due incontri a porte chiuse con gli stessi corrispondenti, le polemiche sui loro canali Telegram sono parecchio diminuite. Ma ad essere sempre più critici su Putin e sulla strategia militare nell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk sono l’ex Ministro della Difesa Igor Strelkov e l’ex Ministro della Sicurezza di Stato Alexander Khodakovsky. Anche i veterani della guerra del 2014 avevano già criticato le azioni dell’esercito, ma alla fine si sono sempre stretti attorno al presidente, contando almeno sull’occupazione del Donbass.

Gallyamov: “Patriottismo da divano, nessuna minaccia per Putin” – “Nei loro ranghi, il tabù contro la critica al regime e persino a Putin è stato ampiamente superato”, spiega Abbas Gallyamov. “Se prima per la stragrande maggioranza di queste persone Putin era il politico numero uno e la principale guida morale, ora le ha deluse molto”. Allo stesso tempo, il politologo non crede che qualcosa minacci il Cremlino da destra: “A differenza dell’opposizione liberale, la destra è patologicamente incapace di un’azione indipendente. Avete mai visto una massiccia protesta patriottica? Tutto il patriottismo di questi ragazzi è patriottismo da divano. Quindi vedo il malcontento, ma non una vera minaccia. C’è una distanza enorme tra le chiacchiere e l’azione politica organizzata e coordinata”.

Anche il centro Dossier, nella sua analisi rileva che la maggior parte dei «patrioti» dai sondaggi del Cremlino non faranno proteste contro le autorità neanche in caso di sconfitta, perché temono le repressioni e credono che dopo il cambio di regime salirà al potere qualcuno di peggio. Nonostante il pubblico patriottico sia molto turbato dal fatto che la guerra non stia andando secondo i piani, i sociologi ritengono che le critiche rimangano a livello di «salotto» e non rappresentino una seria minaccia per le autorità.

Detto questo, anche l’ala destra ha i suoi potenziali leader, lo stesso Strelkov. Ma Gallyamov, ad esempio, crede che non abbiano abbastanza sostenitori e, in generale, che il loro potenziale sia esaurito. Il giornalista Pavel Kanygin, che ha lavorato nel Donbass nel 2014 e ora ha lanciato un progetto giornalistico d’opposizione, al contrario, ritiene che Strelkov pretenda di essere molto più di un blogger con ambizioni politiche. Finora, è un modo conveniente per le autorità di sfogare il disaccordo: con il suo aiuto, il Cremlino mantiene l’illusione del pluralismo e canalizza la protesta radicale militarista e imperiale. Ma, secondo Kanygin, Strelkov vuole chiaramente più potere e influenza e, nel caso in cui il sistema crolli, potrebbe arrivare per lui un momento di gloria.

Abbas Gallyamov è sicuro che neanche in questo caso i radicali di destra potranno protestare attivamente: “Avranno una sensazione di sconfitta storica, saranno demoralizzati e si diffonderanno”. Tuttavia, ciò non significa che la crescita del loro malcontento non sia un problema per il Cremlino. “Non rappresentano una minaccia diretta, ma la loro delusione al potere, la loro smobilitazione politica, si anticipa che il Cremlino sarà lasciato faccia a faccia con l’opposizione liberale”, ritiene il politologo. “Il pericolo è questo. La base sociale del regime si sta indebolendo e frantumando, e Putin sta perdendo terreno, anche tra le persone che ieri gli erano fedeli”.

Le “distrazioni” della destra – Ma la disillusione dell’estrema destra può rappresentare una minaccia in altri modi. Anche inaspettati. A dicembre, il giornale britannico The Guardian ha notato che una delle organizzazioni «patriottiche» russe, il cosiddetto Gruppo di ricognizione, sabotaggio e assalto «Rusich» (associato ai neo-nazisti e al gruppo Wagner) nel suo canale Telegram ha invitato i lettori a raccogliere e fornire loro informazioni sulle infrastrutture militari dei paesi baltici. Il giornale suggerisce che, deluse dalle politiche del Cremlino e dal corso della guerra, le organizzazioni paramilitari di estrema destra potrebbero iniziare a prendere l’iniziativa nelle proprie mani e, ad esempio, provocare un incidente in un paese della Nato. Tuttavia, Gallyamov ritiene che queste boutade siano così insignificanti che né il Cremlino né l’FSB se ne preoccupano. “Ma in generale, se vuoi scatenare una guerra contro l’Ucraina, allora vai e vinci. Poi affronterai i Paesi Baltici“, ragiona il politologo. “Parlo proprio di queste loro chiacchiere, molto tipiche: invece di fare qualcosa, riempiono lo spazio col nulla. Non potendo sconfiggere l’Ucraina, spostano l’attenzione sui paesi baltici”.

“E poi, perché non nasce la loro protesta?”, aggiunge Gallyamov. ”In fondo, un gran numero di questi «patrioti» capiscono che è una via senza uscita. Per andare avanti, bisogna avere la certezza che “il vento della storia soffia nelle loro vele”. Ma in questo caso l’Occidente e, in effetti, tutto il ​​mondo ha agito in modo troppo compatto. Quindi, in fondo, capiscono che nessuno è mai riuscito a vincere uno scontro con il mondo intero — e nemmeno loro ci riusciranno”.

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