Il picco dei contagi di questa prima ondata verrà raggiunto già questo mese, dicono le autorità. La curva del numero dei casi di coronavirus in Cina è decollata nelle ultime due settimane, cioè da quando il governo di Pechino ha deciso di interrompere la rigorosa politica “zero-Covid“, dopo le proteste esplose nelle principali città dove i manifestanti chiedevano anche le dimissioni di Xi. Le restrizioni – rigidissime – sono state smantellate rapidamente e ora la diffusione del virus in Cina è tornata a preoccupare sia in patria che all’estero. Una situazione che è già ricaduta sul sistema sanitario, dove mancano già posti letto in terapia intensiva, medici, infermieri e farmaci.

Secondo il Global Times, le strutture sanitarie delle città più importanti stanno cercando di velocizzare le procedure per dotarsi di ventilatori e altre attrezzature di emergenza. Guangzhou, città di 15 milioni di abitanti, ha aumentato il numero di “cliniche della febbre” per accogliere fino a 110mila pazienti al giorno, rispetto ai 40mila previsti attualmente. Si sta anche lavorando per aumentare il numero di posti letto in terapia intensiva, passando da 455 a 1.385 entro la fine della giornata, ha riferito il Quotidiano del Popolo. A Nanchino sono stati introdotti limiti all’acquisto di ibuprofene e altri medicinali, mentre, come anche nelle altre regioni, si cerca di fare scorte. I timori riguardano anche gli infermieri delle rianimazioni: gli ospedali stanno “urgentemente” prendendo in prestito personale da altre strutture.

Le autorità hanno ammesso che è “impossibile” per il sistema tenere traccia del numero di nuovi infetti. Secondo uno studio pubblicato dalla Cnn, la brusca uscita della Cina dalle restrizioni potrebbe causare quasi un milione di morti. “L’ondata di infezioni probabilmente sovraccaricherebbe molti sistemi sanitari locali in tutto il Paese”, si legge nell’analisi, realizzata da tre docenti dell’università di Hong Kong.

Oltre alla situazione sanitaria, preoccupa anche la tenuta economica del Paese. Le assenze dal lavoro per il Covid hanno provocato interruzioni nella produzione e nelle catene di approvvigionamento. Spia d’allarme anche per le istituzioni internazionali: la Banca mondiale (Bm) ha nettamente ridimensionato le sue previsioni di crescita della Cina per quest’anno e per il 2023, a causa di “rischi significativi” legati principalmente al Covid-19, oltre che per la crisi immobiliare. Nelle scorse settimane, l’istituto aveva manifestato preoccupazione riguardo la crescita della seconda economia mondiale, allora sotto la politica “zero Covid”, considerata molto penalizzante per le attività economiche. Il Paese ha bruscamente fatto dietrofront all’inizio di dicembre e ha revocato la maggior parte delle restrizioni in vigore da quasi tre anni, dopo che i primi casi di Covid erano comparsi a Wuhan alla fine del 2019.

Gli esperti ora temono che la Cina sia mal preparata all’ondata di contagi legata a questa riapertura, con milioni di anziani e di persone vulnerabili. In questo contesto, secondo la Banca mondiale la seconda economia mondiale dovrebbe registrare quest’anno un aumento del pil solo del 2,7% e poi del 4,3% l’anno prossimo. Si tratta di un netto calo rispetto alle precedenti previsioni dell’istituto, che a giugno prevedevano un aumento del prodotto interno lordo cinese del 4,3% nel 2022, poi dell’8,1% nel 2023. “Le prospettive di crescita della Cina sono soggette a rischi significativi”, ha affermato la Banca mondiale, citando “l’incerta traiettoria della pandemia“.

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