Una “Cittadella dello sport” all’interno di un parco ricco di flora e fauna, boschi e zone umide, definito “una delle più interessanti aree naturalistiche urbane d’Europa per la conservazione dell’avifauna” e classificato come Zona di protezione speciale ai sensi della direttiva Ue sulla tutela degli habitat. Succede a Torino, dove il progetto di “riqualificazione” del parco del Meisino – 45 ettari di verde pubblico e aree agricole nella parte nord-est della città – ha suscitato le proteste di abitanti, associazioni ambientaliste e persino ex amministratori locali e tecnici. Il restyling vale 11 milioni di euro e sarà finanziato con le risorse del Pnrr destinate a sport e inclusione sociale. L’area interessata dovrebbe diventare “una palestra a cielo aperto” con una passerella ciclo-pedonale di 100 metri, aree fitness, campi da cricket e biathlon, circuiti per l’orienteering, il disc golf e lo sci nordico, un bike park. Il tutto da realizzarsi con materiali eco-compatibili, zero cemento e “strutture completamente smontabili, così da poterle eventualmente smantellare in futuro”, assicura il bollettino del Comune. In cantiere c’è anche la ristrutturazione dell’ex galoppatoio, una struttura ceduta alla Città dal Demanio militare e attualmente in stato di abbandono, per farne un centro di educazione all’ambiente e allo sport outdoor.

Il progetto però non piace affatto agli abitanti, che nelle ultime settimane hanno lanciato diverse iniziative per ostacolarlo. Oltre duemila firme su Change.org chiedono una diversa allocazione dei fondi, “sempre verso la zona nord della città, ma dove sono presenti aree sportive in disuso e abbandonate, dove si possa parlare realmente di riqualificazione e soprattutto di inclusione sociale”. La cornice in cui nasce la proposta infatti è un bando del Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio e ha per oggetto “sport e inclusione sociale”, una missione che nel Pnrr fa il paio con la “rivoluzione verde” e la transizione ecologica. Nel caso del Meisino, secondo gli abitanti, c’è ben poco da recuperare o rigenerare, c’è piuttosto da “lasciar stare” una riserva naturale e concentrarsi su quartieri depressi come la Falchera o Barriera di Milano, dove lo sport a pagamento per moltissime famiglie è un lusso. “Usano il degrado come pretesto, ma in realtà di degradato c’è solo l’ex galoppatoio”, spiega Bruno Morra, presidente del comitato spontaneo Borgata rosa-Sassi, che mette insieme residenti e avventori del parco. Schierati per la revisione del progetto ci sono anche Legambiente e l’associazione Pro Natura. “Nel 2006 hanno già realizzato un percorso ginnico nel parco: ora quattro o cinque stazioni sono fuori uso e non si fa nessuna manutenzione. C’è anche un campo di calcio inutilizzato, con pali della luce pericolanti. Sono dieci anni che bandiscono gare per darlo in gestione, ma vanno sempre deserte”, racconta Morra.

Il comitato ha redatto una controproposta, che chiede di separare i due “cluster” d’intervento e recuperare solo una parte dell’ex galoppatoio, destinando altrove le risorse per la “cittadella dello sport”. Che le priorità della Borgata siano altre, in effetti, lo dimostrano i frequenti allagamenti in occasione delle piogge torrenziali e delle piene del Po, che potrebbero essere mitigati con interventi di manutenzione e messa in sicurezza degli argini. “In Circoscrizione 7 fu presentato un progetto di spesa di un milione e mezzo per mettere in sicurezza tutto l’argine, poi ci hanno detto che non c’erano i soldi per farlo”, denuncia Morra. Il progetto risale a giugno 2021 e secondo l’assessore alle Manutenzioni, Francesco Tresso, è stato accantonato per motivi strettamente tecnici: “Abbiamo sottoposto all’Agenzia interregionale per il fiume Po la possibilità di realizzare un argine di terra, ma ci hanno detto di no, perché se il fiume trova ostruzione su un lato crea comunque problemi dall’altra parte. In gergo, deve rimanere una zona di pertinenza fluviale”, spiega.

Il comitato contesta poi al Comune di aver agito in velocità e con poca trasparenza. Per Maria Tricarico, ex dipendente comunale e abitante della borgata, “nella delibera mancano il parere preventivo delle Circoscrizioni e il parere dell’Ente parco, che sono obbligatori”. L’assessore assicura che è stato proprio il Parco a fornire una mappa dettagliata delle zone più delicate dal punto di vista ambientale. “Entro febbraio la Conferenza dei servizi ci darà un parere vincolante e poi si procederà alla Valutazione di incidenza ambientale prevista dal diritto europeo”, dichiara. Che il Comune voglia accelerare, però, lo testimonia l’incarico da 71mila euro affidato a Sport e Salute, la spa che gestisce i fondi pubblici per lo sport italiano (ex Coni servizi), che farà da stazione appaltante. Entro marzo infatti dovrà essere affidata la commessa e i lavori dovranno partire di lì a breve: l’intenzione è di affidare la gestione della futura “cittadella” alle associazioni che si occupano di sport, educazione e ambiente. “Ho una sola riserva sul pump track, che richiederà una manutenzione ad hoc”, ammette l’assessore. Per il resto il Comune sembra intenzionato a procedere senza intoppi, anche perché il Meisino è candidato a ospitare uno spezzone della ciclovia Venezia-Torino, l’infrastruttura ciclabile di oltre 700 km che corre lungo gli argini del Po. “Un messaggio importante in tema di mobilità dolce” per l’assessore, una minaccia all’ecosistema per gli abitanti della borgata.

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