Ha un nome complesso, si chiama tripanosomiasi africana umana (Hat), è più comunemente nota come malattia del sonno, si trasmette attraverso il morso della mosca tse-tse. E potrebbe avere i giorni contati: un nuovo studio ha infatti confermato che una singola dose del farmaco acoziborolo, che si assume per via orale, ha un’efficacia elevatissima, al 95% dopo 18 mesi dalla sua somministrazione e tutto questo indipendentemente dallo stato della malattia. A differenza dei trattamenti utilizzati oggi per fermare la malattia del sonno, l’acoziborolo non richiede ricovero del paziente né personale sanitario altamente qualificato. Gli autori dello studio, pubblicato su The Lancet Infectious Diseases, sostengono che il farmaco “potrebbe rappresentare una svolta negli sforzi per raggiungere l’obiettivo dell’Oms di eliminare la trasmissione della malattia del sonno entro il 2030”.

La Hat è una malattia tropicale che è stata trascurata negli anni ma che può essere fatale se non trattata. La forma della malattia della tripanosomiasi africana umana gambiense (g-HAT) è presente in tutti i Paesi dell’Africa occidentale e centrale, con un particolare incidenza di casi nella Repubblica Democratica del Congo. Fino al 2019, il trattamento per i pazienti nella fase iniziale della malattia era un’iniezione giornaliera per sette o più giorni e, per i pazienti nella fase avanzata della malattia, una fleboclisi endovenosa per sette giorni, che richiedeva il ricovero in ospedale. I pazienti dovevano anche sottoporsi a una puntura lombare, in cui il fluido viene raccolto dalla colonna vertebrale, per diagnosticare lo stadio della malattia e determinare così il trattamento più appropriato. Nel 2019 è stato introdotto il fexinidazolo, un farmaco orale che prevede una terapia lunga 10 giorni e che viene utilizzato come trattamento per entrambi gli stadi della malattia, ma la sua somministrazione richiede comunque personale qualificato e, spesso, il ricovero. Il nuovo studio prospettico ha esaminato l’efficacia di una dose orale di acoziborolo, un farmaco sviluppato congiuntamente da Dndi e Sanofi, nel trattamento del g-HAT. “La malattia del sonno minaccia milioni di persone in tutta l’Africa sub-sahariana. Molte delle persone a rischio vivono in aree rurali remote dove c’è scarso accesso a servizi sanitari adeguati e dove l’acoziborolo ha il potenziale per rivoluzionare il trattamento della malattia del sonno. Viene somministrato in un’unica dose ed è efficace in ogni fase della malattia, eliminando così numerose barriere per le persone più vulnerabili alle malattie, come i trattamenti invasivi e le lunghe distanze che separano spesso l’abitazione da un ospedale o da una clinica. Inoltre, può portare vantaggi nell’elaborazione di screening, che vengono fatti direttamente nei villaggi”, spiega l’autore principale dello studio, Antoine Tarral di Dndi.

Nel corso dello studio sono stati reclutati pazienti da 10 ospedali della Repubblica Democratica del Congo e della Guinea. A 208 pazienti è stata somministrata una singola dose orale di 960 mg di acoziborolo. Di questi, 167 avevano una diagnosi di Hat in stadio avanzato e 41 con g-Hat in stadio iniziale o intermedio. A 18 mesi dal trattamento, il 95% (159 su 167) dei pazienti con g-Hat in stadio avanzato trattati con acoziborolo era guarito (nessun tripanosoma, i microscopici parassiti che causano g-Hat, era presente nei fluidi corporei). Nei pazienti in stadio iniziale e intermedio, il 100% (41 su 41) era guarito. I dati sono stati anche confrontati con una precedente terapia, che prevedeva la somministrazione dell’acoziborolo assieme a un altro farmaco, il nifurtimox eflornitina (Nect), la cui efficacia era risultata pari al 94%. Inoltre, gli effetti collaterali sono risultati minimi con tutti gli eventi lievi o moderati. Nonostante gli ottimi risultati emersi dallo studio, gli autori riconoscono alcuni limiti, legati soprattutto alla mancanza di un numero sufficiente di pazienti. Ma, spiegano anche, vista la problematica e le difficoltà incontrate nello svolgere il lavoro, è stato preferito un approccio un po’ più pragmatico e un po’ meno ‘scientifico’ per poter proseguire con successo sulla strada della zero trasmissione della malattia del sonno entro il 2030.

Lella Simone

Foto di archivio

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