Riciclo e riutilizzo non sono in competizione”, anche se “non tutte le pratiche di riciclo funzionano veramente bene” e “il riutilizzo ha benefici ambientali maggiori del monouso”. Con queste premesse, la Commissione Ue presenta la sua proposta per il nuovo Regolamento su imballaggi e rifiuti da imballaggio. Sebbene sia stata rivista al ribasso dopo le polemiche delle ultime settimane e le pressioni da parte delle industrie europee, il testo costringe comunque queste ultime a proiettarsi verso nuovi modelli di business, praticamente assenti in alcuni Paesi. È il caso dell’Italia. Tant’è che in conferenza stampa c’è un fuori programma: il vicepresidente con delega al Green Deal, Frans Timmermans spiega che vuole dire qualcosa in italiano, facendo intendere da quale Paese sono arrivate le pressioni maggiori: “Abbiamo bisogno di entrambi gli strumenti (riutilizzo e riciclo, ndr) come di più impianti per il trattamento dei rifiuti. Nessuno – rassicura, rivolgendosi direttamente all’industria italiana – vuole mettere fine alle pratiche di riciclo che funzionano bene o mettere in pericolo gli investimenti sottostanti. So che in Italia moltissimo già è stato fatto sul riciclo. Vogliamo ancora di più, non di meno, non c’è alcuna competizione tra i due approcci”. Il regolamento resta una promessa di “rivoluzione“, anche se la pressione dell’industria europea ha prodotto i suoi effetti. La Commissione Ue punta su riuso e sistemi di deposito su cauzione per bottiglie di plastica e lattine in alluminio, ma sono meno ambiziosi i target di riutilizzo e di contenuto riciclato rispetto alla bozza circolata un paio di settimane fa e che aveva fatto infuriare i settori coinvolti, per bocca di Confindustria. Stretta (ma con scappatoia) sugli imballaggi biodegradabili e compostabili. La proposta di regolamento è sostanzialmente uguale all’ultima bozza, di pochi giorni fa, ma l’industria dell’imballaggio Ue la boccia comunque. “Rischia di andare contro gli obiettivi del Green Deal” commenta l’organizzazione di categoria, Europen. Una proposta “demagogica e populista” per l’ex presidente degli industriali Antonio D’Amato (titolare di un’azienda del settore). Per D’Amato questa nuova normativa europea “rischia di mettere in difficoltà la tenuta stessa del sistema” produttivo e istituzionale.

La gerarchia resta, ma si prevedono scappatoie
Si va verso il riutilizzo, ma con qualche flessibilità e tempi più vicini a quelli chiesti dall’industria e dai settori interessati. Tanto che c’è chi all’incontro con la stampa chiede se con questo testo si mantenga davvero la gerarchia che mette ai primi posti prevenzione e riutilizzo e poi riciclaggio o recupero di altro tipo e smaltimento. Ma le novità sono tante. Saranno vietate le confezioni monouso all’interno di bar e ristoranti e i flaconcini negli hotel. La Commissione propone una riduzione dei rifiuti di imballaggio pro-capite per ogni Paese del 5% entro il 2030 (rispetto a quelli prodotti nel 2018), del 10% entro il 2035 e del 15% entro il 2040. “Ogni consumatore potrà risparmiare 100 euro all’anno” è stato spiegato in conferenza stampa. Viene, però, rinviato di un anno, rispetto alla prima bozza, l’obbligo di deposito su cauzione per le bottiglie e i contenitori monouso per bevande con capacità fino a 3 litri che, quindi, entrerà in vigore a partire dal 1° gennaio 2029 (e non dal 2028). C’è il rinvio, ma anche un obbligo che pone davanti a un bivio paesi come l’Italia, da sempre indietro su questo fronte. Il provvedimento offre comunque un’alternativa: se nei due anni precedenti un Paese membro avrà raggiunto il 90% di raccolta differenziata con altri strumenti, allora potrà evitare l’obbligo di introdurre questi sistemi.

Rivisti i target di riutilizzo al 2030 e, soprattutto, al 2040
Si abbassa l’ambizione (rispetto alla prima bozza) sui tassi di riutilizzo. Da gennaio 2030, il 20% delle bevande take-away dovrà essere disponibile in un imballaggio riutilizzabile o usando i contenitori dei clienti, mentre dal 2040 la percentuale sale al 80%. Nella bozza di qualche settimana fa, le due percentuali erano del 30% e del contestatissimo 95%. Per i cibi pronti da asporto, gli obiettivi sono del 10% dal 2030 (prima era del 20%) e del 40% dal 2040 (prima era del 75%, dunque molto più alto).

Molto importanti per l’industria e per le imprese del riciclo i target relativi alle bevande alcoliche e analcoliche. Ebbene, esclusi vino e liquori, sono del 10% entro il 2030 (era del 20% nella bozza contestata) e del 25% entro il 2040 (anche qui prima si prevedeva un target del 75%). Per alcuni target, però, il mercato potrebbe correre più veloce: la stessa Coca Cola ha annunciato di voler utilizzare il 25% di contenitori riutilizzabili entro il 2030 per le bevande che commercializza in tutto il mondo, mentre stando a questo testo l’obbligo è di arrivare appena al 10% in Europa. Vengono abbassati anche gli obiettivi per gli imballaggi dell’e-commerce: dovranno avere il 10% di imballaggi riutilizzabili entro il 2030 e il 50% entro il 2040, mentre nella bozza della discordia erano rispettivamente al 20% e dall’80%.

Riciclo e contenuto riciclato
Suggerendo che dal 2030 tutti gli imballaggi immessi sul mercato dovranno essere riciclabili, il testo finale (come la prima bozza) rivede al rialzo gli obiettivi di riciclo rispetto alle attuali norme. Entro il 2025, il target per tutti gli imballaggi è del 65% in peso, con percentuali del 25% per il legno, del 50% per plastiche e alluminio, del 70% per vetro e metalli ferrosi, del 75% per carta e cartone. Tutti i target salgono al 2030, mentre quello generale arriva al 70%. Viene introdotta, inoltre, l’etichettatura ambientale con alcune indicazioni obbligatorie e altre volontarie, come quelle sul contenuto di riciclato, su cui la bozza pure prevede obiettivi vincolanti e più ambiziosi. Attualmente la direttiva sulle plastiche monouso prevede un contenuto minimo di materiale riciclato (al 30%) solo per le bottiglie in Pet. La prima bozza estendeva i settori e alzava le percentuali, ma già nell’ultima versione i target al 2030 sono stati abbassati.

Il testo definitivo prevede che si arrivi al 35% di contenuto riciclato per tutti gli imballaggi in materiale plastico (nella prima bozza l’obiettivo era del 45%) e del 30% per le bottiglie monouso (50% nella prima versione). Per gli imballaggi in plastica sensibili al contatto, se la prima bozza prevedeva al 2030 un generico 25%, ora si fa una distinzione: c’è l’obbligo al 30% per gli imballaggi sensibili al contatto realizzati in Pet come componente principale, mentre il target è al 10% per tutti gli altri imballaggi sensibili al contatto, ad eccezione delle bottiglie per bevande in plastica monouso, realizzate con materiali plastici diversi dal Pet (per cui si applica l’obbligo del 30%, come per tutte le bottiglie in plastica monouso per bevande). Al 2040 gli obiettivi rimangono del 65% per tutti gli imballaggi (comprese le bottiglie in plastica monouso per bevande) e del 50% per gli imballaggi in plastica sensibili al contatto, fatta eccezione per le bottiglie.

Imballaggi biodegradabili e compostabili
Passo indietro anche sugli imballaggi biodegradabili e compostabili, su cui non sono mancate le pressioni. Basti pensare alle critiche di European Bioplastics, l’associazione europea della filiera delle bioplastiche che un paio di settimane fa ha scritto una lettera alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Entro due anni dall’entrata in vigore si prevede l’obbligo di essere sottoposti a trattamento di compostaggio in impianti industriali solo per bustine per il tè, cialde per il caffè, bollini adesivi apposti su frutta e verdura e sacchetti di plastica ultraleggeri, ma scompare il divieto (presente nella prima bozza) di immissione sul mercato per tutte le altre tipologie di imballaggio, a condizione che questi siano riciclabili e non interferiscano con il riciclo delle altre frazioni di rifiuti. A riguardo, però, molto è stato detto in conferenza, sia da Timmermans che dal commissario all’Ambiente Virginijus Sinkevičius: “La plastica compostabile va bene solo se è un bene per l’ambiente e va specificato quella che necessita di impianti industriali. Le plastiche biodegradabili non sono una licenza per sporcare”. Di fatto, il regolamento prevede che i prodotti in plastica biodegradabile commercializzati in Ue abbiamo un’etichetta per mostrare quanto tempo impiegheranno a biodegradarsi, in quali circostanze e in quale ambiente.

Articolo Precedente

Gli attivisti ambientali lanciano vernice verde sulla sede Rai di Milano: “Il tg smetta di dire maltempo e inizi a parlare di crisi climatica”

next
Articolo Successivo

In montagna manca la neve, ma nella Lombardia stritolata dalla siccità piovono soldi

next