L’intuizione giusta di Giovanbattista Fazzolari aveva una maglia rosanero del Palermo calcio: quella di Fabio Simplicio, centrocampista brasiliano che in Sicilia ricordano ancora con affetto. È grazie a una doppietta di Simplicio all’Udinese che Fazzolari vinse il Fantacalcio, il popolare gioco della Gazzetta dello Sport. Era il 2009 e in palio c’era addirittura un’automobile, una Kia New Carnival che il Gianni Letta di Giorgia Meloni vinse senza mai essere davvero attratto dal pallone: più del calcio, spiegò, lo appassionavano i numeri e le statistiche. “Non tifo nessuna squadra e questo mi aiuta, ma ho riflettuto molto, soprattutto dopo che mi sono ritrovato in testa alla terza giornata: lì ho capito che potevo farcela. È la prova che tutti possono farcela con un po’ di fortuna”, raccontò al quotidiano sportivo, argomentando con buona oratoria il successo della sua squadra: l’aveva chiamata Legio XX, come una delle legioni romane all’epoca di Augusto. Un indizio sulle romaniche passioni di Fazzolari. L’amore per la storia latina, però, non basterà a frenare la sua evidente antipatia nei confronti della massima istituzione repubblicana: anni dopo, infatti, il braccio destro di Meloni arrivò a definire un “rottame” il neoletto Sergio Mattarella. Si è detto che quei post sono il motivo per cui Fazzolari non è stato nominato sottosegretario alla presidenza del consiglio. Una ricostruzione farlocca visto che alla fine l’ex campione di Fantacalcio è andato comunque al governo, come sottosegretario per l’Attuazione del Programma: avrà in mano le chiavi politiche del nuovo esecutivo. Un ruolo che, tra l’altro, gli consentirà di lavorare a stretto contatto con Meloni, più di quanto avrebbe fatto se fosse finito a fare da sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Ma andiamo con ordine.

Il senatore parabellum – Nato a Messina il 24 febbraio di cinquant’anni fa, figlio di un diplomatico d’origini calabresi e per questo cresciuto al seguito del genitore tra la Francia, l’Argentina e la Turchia, Fazzolari da ragazzo lo chiamavano “spugna” perché pare che fosse in grado di assorbire velocemente qualsiasi tipo di nozione. Diploma al liceo francese Chateaubriand di Roma, laurea in Economia alla Sapienza, l’ex campione di Fantacalcio è un destro sin dall’adolescenza. Militante del Fronte della Gioventù, la formazione giovanile del Movimento sociale, primo presidente romano di Azione Universitaria, è considerato l’uomo nuovo di Fratelli d’Italia, quello che il grande pubblico ha imparato a conoscere come il consigliere più ascoltato di Meloni. Per la verità, però, Fazzolari è tutt’altro che un neofita della politica. Sta lì, sullo sfondo della fiamma tricolore da una vita, anche se in pochi se ne erano accorti: “Spugna” Fazzolari è uno che non fa troppo rumore. Almeno quando parla, visto che nel tempo libero – oltre al Fantacalcio – trova divertente sparare. “Sì, mi diverto e mi diletto nel mondo del tiro“, ammetteva qualche tempo fa alla fiera delle armi di Verona. Dove il cronista di Armi e tiro lo trattava da eroe: al Senato, infatti, Fazzolari aveva presentato un emendamento per legalizzare anche in Italia i proiettili calibro 9×19, i cosiddetti “parabellum“. Un favore agli amici del tiro sportivo, che Fazzolari rivendicava così: “Reputo che i legali possessori delle armi abbiano diritto a maggiore tutela“. Forte di questi convinzioni, è stato rieletto al Senato per la seconda volta ed è praticamente l’unico politico di Fdi ad essere certo del suo posto al governo già prima delle elezioni. Poi, dopo la vittoria, è stato uno dei pochissimi autorizzati a parlare coi giornalisti. Erano i giorni in cui, per metabolizzare il successo, Meloni si era chiusa in un mutismo impenetrabile, ordinando il silenzio – e vietando i festeggiamenti – anche ai suoi.

Le origini: da Azione giovani al ministero – Un ordine che valeva per tutti ma non per Fazzolari, l’uomo del programma di Fdi, il cervello dei patrioti. E neanche per Francesco Lollobrigida, il “first cognato” che ha sposato Arianna Meloni, sorella di Giorgia, e che adesso è stato nominato ministro dell’Agricoltura e della neonata Sovranità alimentare. Nati a meno di un mese di distanza l’uno dall’altro, Fazzolari e Lollobrigida sono meloniani da prima che lo fosse la stessa Meloni: erano loro i primi supporter della sua candidatura al vertice di Azione giovani, la formazione primavera di Alleanza nazionale. Era il 2004 e al congresso Viterbo Meloni, che aveva 27 anni, era la candidata appoggiata da Destra protagonista, la corrente di Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri. Con Meloni c’era anche la corrente dei Gabbiani, che si chiamava così come il libro Il gabbiano Jonathan Livingston ed era guidata da Fabio Rampelli, il “grande gabbiano“, oggi pure lui – come tutti in Fdi – meloniano di stretta osservanza. A correre contro la ragazza della Garbatella c’era Carlo Fidanza, 28 anni, milanese, punto di riferimento della curva dell’Inter, che dopo la sconfitta si convertì subito al melonismo: negli anni successivi sarebbe stato eletto all’Europarlamento, prima di finire indagato per corruzione, coinvolto nell’inchiesta di Fanpage sulla cosiddetta “lobby nera“. All’epoca Fidanza era sostenuto dalla corrente Destra sociale di Gianni Alemanno e Francesco Storace, ma pure da Nuova Alleanza, che riuniva i colonnelli più vicini a Gianfranco Fini. Nonostante tutto perse, forse anche a causa del suo slogan: “Una scelta d’amore“, frase tratta da uno scritto di Bobby Sands (s’intitolerà così anche il film dedicato all’eroe nordirlandese). Il motto della corrente pro Meloni, invece, era “Figli d’Italia“, che era un po’ la garage band di Fratelli d’Italia: l’idea pare sia venuta proprio a “Spugna” Fazzolari, appassionato di storia romana ma evidentemente anche risorgimentale, sin dall’inizio “uomo dei contenuti” alla corte di Giorgia, mentre Lollobrigida è sempre stato il responsabile dell’organizzazione. “Giovanbattista, per gli amici antichi Spugna, per me Fazzo, è la persona più intelligente e giusta che abbia avuto la fortuna di conoscere. Oggi è senatore di Fratelli d’Italia, ma per me è molto di più. Non ricordo un solo giorno della mia vita in cui non ci fosse lui al mio fianco”, lo ha beatificato Meloni nel suo libro Io sono Giorgia. E in effetti da Viterbo in poi Fazzolari ha seguito tutta la parabola dell’ex presidente di Azione giovani: nel 2006 quando Fini vuole Meloni vicepresidente della Camera, Meloni vuole Fazzolari come suo consulente giuridico. Due anni dopo lo porta al governo, a capo della sua segreteria al ministero della Gioventù. Poi Berlusconi cade, Meloni esce dal Pdl e fonda Fdi insieme a La Russa, Guido Crosetto e gli altri Gabbiani. Fazzolari è sempre lì, sempre al fianco di Giorgia, sempre un passo indietro, sempre col consiglio giusto al momento giusto.

Gli insulti a Mattarella, il ritorno a Palazzo Chigi – È sullo sfondo della scena che Fazzolari si muove con agilità, visto che quando si espone troppo sembra non riuscire a dosare bene la frizione. Il 29 gennaio del 2015 Sergio Mattarella viene eletto per la prima volta al Quirinale e Fazzolari su twitter non si trattiene.”Dal cilindro del rottamatore esce un rottame #Mattarella #quirinale”, scrive rispondendo a un post dell’amica Meloni. Due giorni dopo non aveva ancora smaltito la rabbia, visto che era arrivato a formulare un paragone azzardato: accostare il capo dello Stato addirittura a Satana: “#Mattarella 665 voti a un passo dal numero della bestia 666. Aspirante demonio”. Passano tre anni – siamo nel 2018 – e Fazzolari, ormai eletto al Senato, insiste: quando il presidente si oppone alla nomina di Paolo Savona come ministro dell’Economia, lui lo invita a rileggersi la Carta. “La sovranità appartiene al popolo – scrive – Mattarella si rilegga l’articolo 1 della costituzione, si accorgerà che è scritto in italiano, non in tedesco o in francese. #Savona #Meloni”. Tutti post scovati da L’Espresso e che adesso sono svaniti: su twitter, infatti, il profilo di Fazzolari non si trova più. Per sua fortuna Mattarella ha già dimostrato di essere un uomo che non si fa influenzare da simili infortuni verbali: per informazioni basta chiedere a Luigi Di Maio, passato dall’impeachment a primo fan del Quirinale nel giro di una legislatura. Chissà che presto il fascino dell’uomo del Colle non colpisca anche il braccio destro di Giorgia Meloni, nuovo Richelieu di Palazzo Chigi, l’uomo che dovrà garantire la realizzazione del programma, elaborando strategie, dosando equilibrio, discrezione e un filo diretto col Colle. Ecco perché lo chiamano il Gianni Letta della Meloni. Nel frattempo chissà che fine ha fatto Fabio Simplicio.

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