La crisi economica del Venezuela non conosce tregua e continua a danneggiare il tessuto socio-demografico del Paese. Secondo gli ultimi dati forniti dalle Nazioni Unite il numero di rifugiati e profughi costretti a lasciare il Paese, per finire nell’80 per cento dei casi in altre nazioni dell’America Latina e dei Caraibi, ha ormai toccato quota 7 milioni. Le condizioni di vita sperimentate nei Paesi che li hanno accolti non sono delle migliori. La metà dei migranti non può permettersi tre pasti al giorno, non ha accesso a soluzioni abitative dignitose e deve ricorrere a forme di prostituzione e di accattonaggio per poter sopravvivere. I salari percepiti, quando riescono a trovare lavoro, sono molto bassi e i bambini sperimentano difficoltà ad inserirsi nei sistemi scolastici locali, riducendosi ad abbandonare il percorso di studi.

La crisi umanitaria, come ricordato dall’International Rescue Commitee, è stata provocata dal collasso economico iniziato nel 2014 e peggiorato negli anni successivi. Il sistema sanitario del Paese ha smesso di funzionare mentre l’iperinflazione, unita ad una scarsità di beni di prima necessità come acqua, cibo e benzina, hanno fatto scoppiare disordini e sommosse. La pandemia ha aggravato il quadro complessivo e ha impedito che si verificasse una crescita economica necessaria per porre rimedio alla situazione.

Le organizzazioni non governative sono essenziali perché i servizi sociali di base sono collassati. Laura Mendoza, una volontaria intervistata da Foreign Policy, ha ricordato “che molte persone riescono ad andare avanti solamente grazie alle organizzazioni non governative”. I venezuelani devono affrontare molte difficoltà, tra cui costanti black out e riduzioni dell’afflusso dell’acqua, che impattano in maniera significativa sulle aree più povere. Le organizzazioni non governative, come chiarito dalla nutrizionista Susanna Raffali, “mitigano il collasso dei servizi pubblici, offrono protezione sociale e generano informazione”. “Questa non è un’emergenza paragonabile ad un terremoto” spiega la Rafali “perché ha una progressione lenta e provoca esaurimento perché non si capisce quando questa crisi potrà avere fine”.

Il Venezuela, che sino a non molto tempo fa aveva una delle economie più prospere dell’America Latina grazie alle maggiori riserve al mondo di petrolio, è crollato a causa di una serie di fattori e tra questi c’è proprio “l’eccessiva dipendenza dal petrolio”. A spiegarlo è Jo-Marie Burt, professoressa di scienze politiche presso la Schar School of Policy and Government della George Mason University intervistata dal portale History, secondo cui “la diminuzione dei prezzi del greggio, la massiccia spesa sociale intrapresa dai governi Chavez e Maduro, le sanzioni americane ed una cattiva gestione dell’economia, unita alla corruzione, hanno contribuito al collasso”. La crisi del Venezuela è peggiorata a causa delle sanzioni americane contro l’industria petrolifera, mineraria e la Banca Centrale, che non può accedere alla valuta necessaria per le transazioni internazionali.

Secondo Freedom House, che si occupa di monitorare il rispetto dei diritti civili e politici nel mondo con un rapporto annuale, il Venezuela è tra le nazioni più represse al mondo. Le elezioni del 2021 sono state boicottate dall’opposizione perché ritenute non libere. Il Partito Socialista Unito del Venezuela, di cui è membro il presidente Nicolas Maduro, ha ottenuto il 91 per cento dei seggi mentre Maduro è stato rieletto nel 2018 in seguito a consultazioni farsa. Il sistema elettorale è soggetto a manipolazioni politiche filo-governative, la libertà di stampa è fortemente compromessa così come quella di organizzare manifestazioni, le organizzazioni non governative ed i sindacati vengono silenziati. I social media sono monitorati dal governo e chi esprime opinioni contrarie all’esecutivo può essere perseguitato.

La Cina e la Russia hanno stabilito, nel corso degli anni, una solida alleanza il Venezuela basata su una stretta cooperazione in ambito energetico, industriale, sanitario, finanziario, commerciale e soprattutto militare. Si tratta di una partnership nata subito dopo l’ascesa di Hugo Chavez alla presidenza nel 2000 e sviluppatasi sino ad oggi. La Russia, come riportato da Dialogo Americas, ha venduto al Venezuela equipaggiamento militare, come jet da combattimento, elicotteri, carri armati per un valore complessivo di oltre 11 miliardi di dollari negli ultimi vent’anni e staziona due bombardieri in grado di trasportare armi nucleari in loco. La Cina ha venduto meno armi al Venezuela della Russia, per un valore complessivo di 650 milioni di dollari, ma si è occupata di formare la leadership militare e le squadre speciali del Paese con corsi di formazione avanzata. Pechino ha esteso al subcontinente latinoamericano i progetti infrastrutturali delle nuove vie della seta ed il Venezuela ha espresso, in più occasioni, l’intenzione di entrarvi a fare parte. La Cina e la Russia sono particolarmente interessate a difendere Maduro perché interessate alle ricche riserve di materie prime, come il gas, del Venezuela ed alla possibilità di ottenere il diritto di ricerca e sfruttamento di nuovi potenziali giacimenti. C’è, poi, anche una chiara motivazione geopolitica: impedire che il continente sudamericano ricada pesantemente sotto l’influenza degli Stati Uniti.

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