“Io e te sicure. Hanno ripreso due donne. Noi due siamo nella ‘cacca’”. Patrizia Piccinni lo sente che il cerchio degli investigatori si sta pian piano stringendo intorno a lei. In una delle tante telefonate intercettate dai carabinieri di Lecce che indagano sulla morte di Donato Montinaro, imbavagliato e strangolato nella notte tra il 10 e l’11 giugno 2022 a Castrì, nel Salento, la donna ne parla con Angela Martella che gli inquirenti ritengono complice del delitto insieme ad Antonio Esposito. I tre sono stati arrestati con l’accusa di omicidio volontario e rapina. A incastrarli, secondo la procura di Lecce, ci sarebbero diversi elementi: “Non si può affermare con certezza che l’omicidio sia stato premeditato – scrive nell’ordinanza il gip di Lecce, Laura Liguori – anche se le specifiche modalità, il materiale rinvenuto sul luogo del delitto depongano in questo senso”. Il corpo era stato trovato completamente legato da lenzuola, fascette di plastica e nastro adesivo: le braccia, le caviglie, il collo la testa e persino in bocca gli autori del delitto avevano infilato materiale.

“Come correttamente osservato dal pubblico ministero – ha aggiunto il gip Liguori – si tratta, comunque, di elementi che consentono di affermare che l’evento morte fosse stato ‘accettato’, tenuto conto dello stato in cui fu trovato il cadavere, delle fascette ‘serra-cavo’, del nastro adesivo, del fatto che la vittima fu immobilizzata, legata saldamente proprio con quelle fascette e incappucciata. Non possono, pertanto, essere avanzati dubbi in ordine all’elemento soggettivo del delitto di omicidio ai danni di Montinaro Donato, che si ritiene abbia aperto la porta ai suoi assassini”. Che si tratti di omicidio, quindi, non c’è alcun dubbio, ma per gli inquirenti non è premeditato, ma la conseguenza di quelle legature che tuttavia gli autori avrebbero, secondo l’accusa, messo in conto mentre agivano.

Le attività investigative dei carabinieri si sono rivolte inizialmente su Angela Martella, la 58enne che proprio la sera del delitto aveva avuto un contatto telefonico con la vittima. A questo elemento si sono aggiunte le testimonianze di alcuni vicini che hanno raccontato ai carabinieri di aver visto tre persone aggirarsi quella notte nella zona. Non solo. Gli investigatori hanno accertato che il cellulare della Martella era proprio nella zona al momento dell’omicidio e aveva annoverato numerosi contatti con altri due numeri riconducibili a Esposito e Piccinni. Una volta avviate le intercettazioni telefoniche e ambientali, i carabinieri, guidati dal tenente colonnello Pasquale Montemurro, dal maggiore Francesco Mandia e dal tenente Giuseppe Boccia – coordinati dal pm Maria Consolata Moschettini – hanno raccolto diverse frasi che per il giudice hanno la valenza di una confessione, ma non solo. Per gli inquirenti anche i loro atteggiamenti sono indizi della loro responsabilità: nelle carte dell’inchiesta si legge che i tre sono “ossessionati nel ricercare servizi televisivi o giornalistici riferiti ali ‘omicidio, interesse che, proprio per il carattere insistente, esula da quello che normalmente potrebbe nutrire una persona estranea all’evento”. Ma c’è di più. In particolare le due donne, nei giorni immediatamente successivi all’omicidio “non solo manifestano interesse per le notizie che avrebbero potuto essere date al riguardo, ma, soprattutto, si dimostrano più volte preoccupate per la loro sorte, temendo e facendo chiaro riferimento alla possibilità di essere tratte in arresto”.

E infatti quando una pattuglia di carabinieri le ferma in auto per un normale controllo stradale, la prima frase pronunciata da una delle due è “n’annu beccate, n’annu beccate!”. Ci hanno prese. In diverse conversazioni telefoniche, inoltre, Patrizia Piccinni manifesta addirittura la volontà di costituirsi: “Cu venene (che vengano, ndr) Ehi mi sono rotto i coglioni sto aspettando proprio il giorno… adesso vado e mi consegno da sola”. Angela Martella, invece, appare disperata, come schiacciata dal rimorso: al telefono con i familiari, ignari di tutto, piange senza alcun motivo apparente e chiede di godere di quei giorni e di vedere i bambini. In un episodio mostra persino intenti suicidi affermando di volersi lanciare dal ponte del Ciolo. I militari dell’Arma scoprono inoltre che i tre, poco dopo il delitto, avrebbero distrutto le loro schede telefoniche.

In merito al movente, il gip scrive che le indagini fino ad ora svolte non hanno consentito di accertare quanto denaro la vittima custodisse in casa, ma è possibile che – come testimoniato da diversi testimoni e dagli accertamenti svolti dagli investigatori – si tratti di “una somma non di poco conto”. Di quel denaro, Montinaro, aveva parlato a molti ed è possibile che la vicenda sia arrivata anche all’orecchio dei tre indagati che con la scusa di un incontro volessero rapinarlo. Le cose, però, sono andate evidentemente nel peggiore dei modi. È proprio una di loro ad ammetterlo al telefono: “È vero che abbiamo fatto una fesseria per migliorare la vita, ma abbiamo peggiorato la vita”.

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