Abolire le primarie per scegliere il nuovo segretario del Partito democratico. Lo propone Pier Luigi Bersani, con un’intervista al Corriere della Sera, aprendo un dibattito tra i dem, già animato dalle polemiche dopo la proposta di Rosy Bindi, che ha proposto addirittura di sciogliere il partito. “Se c’è da dare un contributo di discussione noi ci saremo, non siamo mai andati via dall’idea di una sinistra di governo. Ma è chiaro che la prima domanda nostra sarà alla fine del percorso c’è un partito nuovo o si montano i gazebo per scegliere il capitano? Questo è decisivo”.

Quindi l’ex segretario spiega come la pensa sulle modalità d’individuazione del leader: “Basta primarie. Il dilemma non è sciogliere o non sciogliere, è allargare, è l’esigenza di un profilo, di un collegamento con il tema del lavoro, di una forma partito adeguata. Io lo chiamo un partito nuovo”. Poi Bersani spiega che “i 5 stelle hanno mostrato sensibilità su temi acuti come povertà, ambiente, diritti, sobrietà della politica. Temi utili alla definizione di un campo progressista, ma che non toccano le strutture della uguaglianza da riprogettare: diritti e dignità del lavoro, fiscalità progressiva, welfare universalistico, politiche industriali e ambientali su cui da decenni la sinistra ha il know how e che non possono essere delegate ad altri”. L’ex segretario, però, sembra contrario a un Conte leader del centrosinistra: “È un effetto ottico. I problemi non si risolvono con i leader, trovando il Mandrake o la Mandrake di turno“. Sul centrodestra e l’attuale interlocuzione tra Fdi e Mario Draghi, invece, Bersani se la cava con una battuta delle sue: “Giorgia Meloni sta attraversando a nuoto il mare che c’è tra il dire e il fare“. Affogherà? “Nuoterà, magari ci arriva.
Adesso ha a che fare con dei problemini e cerca di dare qualche colpo dal lato del politicamente corretto. Finita la traversata, se la destra è quella dei condoni, del rilassamento fiscale e del regalo alle corporazioni si troverà davanti a dei guai molto seri. Poi, andando avanti, immagino che vorranno mettere mano ad alcune loro bandiere, tipo toccare la Costituzione”.

Chiaramente a scatenare maggior dibattito è la proposta di Bersani sull’abolizione delle primarie. Ipotesi che trova il favore dell’attuale vicesegretario Peppe Provenzano che considera le primarie solo “un rito se, prima di chiedere alle persone di venire da noi, non siamo noi ad andare dalle persone”. Il Pd, secondo l’ex ministro del Sud, deve “guarire” dal governismo: “Il governo senza consenso – evidenzia – è stato il suo errore di fondo”. A difendere quello che era lo strumento tipico del Pd è l’ala liberal del partito. “Caro Bersani ti sbagli. Con lo slogan ‘basta primarie’ non si fa un partito nuovo e piu’ largo”, dice il senatore Dario Parrini: “Come dimostrato anche da tante recenti vittorie del Pd alle amministrative, le primarie sono ossigeno politico. Si’ al partito aperto. No al partito chiuso. Giu’ le mani dalle primarie”, conclude Parrini. “Ogni giorno assistiamo a tentativi di mettere in discussione il percorso congressuale delineato dal nostro segretario”, dice il quasi ex senatore Alessandro Alfieri: “Oggi addirittura si avanzano dubbi sulla necessità di fare le primarie, lo strumento attraverso il quale abbiamo fondato il Partito democratico e abbiamo allargato utilmente la partecipazione a tutta la nostra comunità democratica“.

Difende le primarie anche un fondatore del Pd come Walter Veltroni: “Assistiamo al paradosso per cui chi ha dimezzato i voti esulta, e un partito che ha quasi il 20% discute se sciogliersi. Il Pd più che una sconfitta elettorale ha subito una sconfitta politica, rischia molto se non coltiva la sua identità e se non cambia profondamente”, dice in un’intervista a La Stampa nella quale si schiera contro l’ipotesi di una radicale rifondazione del partito. Non saranno lo scioglimento, di cui pure si parla e l’ennesimo cambio di leadership, a rivitalizzare il progetto del quale fu uno dei promotori e fondatori. “Torniamo alle radici – afferma – nel 2007 cercammo di dire che il Pd non era l’alfa privativo, quello che era rimasto dopo la fine dei partiti del ‘900, ma una bellissima identità propria, il soggetto che coniugava, senza la costrizione delle ideologie, la radicalità del riformismo con la pienezza delle libertà. Non doveva essere un indistinto affetto da moderatismo né una sinistra minoritaria alla disperata ricerca di alleanze”.

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