“L’impatto nucleare è devastante, fuori da ogni immaginazione e non può essere controllato. È un vaso di Pandora che si scoperchia e non rimane lì, in quel punto, in quella distruzione limitata, in quel momento”. Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne nella Rete Italiana Pace e Disarmo, non ha dubbi e a Ilfattoquotidiano.it spiega che anche il lancio di un’unica bomba atomica avrebbe risultati definitivi. In primo luogo per l’escalation a cui condurrebbe, in una spirale distruttiva che in brevissimo tempo sarebbe in grado di mettere a rischio la vita di milioni di persone e di ampie regioni del mondo. Inoltre, anche isolando il danno a un’unica deflagrazione atomica, le conseguenze sulla regione colpita sarebbero devastanti. “Sono passati oltre 70 anni da Hiroshima e Nagasaki e ancora non conosciamo tutti gli effetti sulle persone e sul territorio che quei due eventi hanno avuto”. L’arsenale di cui dispongono le potenze nucleari è composto anche da centinaia di ordigni a capacità ridotta, con potenziale esplosivo da meno di un chilotone. “Il fatto che se ne stia parlando così tanto, che si discuta sul possibile utilizzo di una bomba da pochi decimali di chilotoni, perché ha una capacità più bassa, è estremamente pericoloso”, spiega l’analista. Il rischio è quello di normalizzare l’uso di un’arma che, anche con un’energia da ‘soli’ 0,3 chilotoni, in una città come Kiev per esempio, sarebbe in grado di: vaporizzare all’istante più di tremila persone e di ferirne quasi cinquemila con ustioni di terzo grado e contaminazioni radioattive fatali nell’arco di un mese. Di interessare un’area di 2 chilometri quadrati, distruggendo palazzi e infrastrutture. Inoltre, tra i sopravvissuti, il 15% di coloro che sono stati sottoposti all’esposizione ha altissime probabilità di sviluppare un cancro. Un conto che può essere ancora peggiore in città con una densità abitativa maggiore.

Le bombe nucleari tattiche e strategiche: non è la capacità esplosiva a definirle
Non deve essere l’aggettivo “tattico” a rassicurare riguardo a un effetto meno sconvolgente: “È sbagliato dire che la definizione di bombe nucleari tattiche dipenda dalla minore capacità esplosiva di queste armi rispetto a quelle dette strategiche – spiega l’analista – Non è la potenza a fare la differenza. È l’obiettivo che voglio raggiungere nella strategia militare, il risultato dell’utilizzo a definire la tipologia di una testata. I chilotoni (la quantità di energia liberata da un esplosivo, ndr) non sono una variabile”. Per dare un quadro preciso: la bomba atomica che distrusse Hiroshima nel 1945, uccidendo 140mila persone, aveva una resa di 15 chilotoni. Le armi nucleari tattiche, del tipo che si ipotizza possano essere utilizzate dalla Russia nel conflitto ucraino, possono raggiungere rese esplosive da decine, se non centinaia di chilotoni. “Si usa il termine ‘tattico’ quando la bomba viene utilizzata in un teatro specifico, con delle finalità precise”, puntualizza Vignarca. “Differentemente, quella ‘strategica‘ è l’arma usata come deterrenza. Prescinde dal singolo conflitto. È l’arma con la quale si può colpire in qualunque momento, senza che il nemico sappia come o da dove arrivi”. È in questo modo che nasce il cosiddetto ricatto nucleare.

I vettori sono cruciali. E la Russia ha un arsenale più ampio
Basta pensare ai sommergibili nucleari. Equipaggiati con delle testate, sempre in movimento e non facilmente individuabili: il solo fatto che esistano e che possano sprigionare il loro potenziale di devastazione in qualsiasi momento li rende un’arma strategica. In tal senso è il vettore, in questo caso il sottomarino, e la sua influenza nel determinare la gittata della bomba a renderla strategica. Può colpire ovunque, ha questa intenzione e questa possibilità. Maggiore è la gittata, e quindi la capacità di colpire obiettivi distanti, maggiore è la vulnerabilità del nemico. E di conseguenza la sua valenza strategica. “Il fatto che si pensi al termine ‘tattico’ come un sinonimo di ‘capacità più bassa’ è un problema – continua Vignarca -, abbassa il livello di guardia riguardo al suo utilizzo e avvicina la possibilità di una risposta nucleare tra due Paesi belligeranti”. L’efficacia di un ordigno nucleare non può essere spiegata solo analizzando la potenza, ci spiega l’analista, è il vettore a essere cruciale: “Il modo in cui recapito la bomba è fondamentale. Mentre con una bomba convenzionale ci si può anche permettere di avere un minimo di perdite se sbagli a trasportarla, con quella nucleare non puoi permettertelo. Rischi che ti esploda in casa”.

La Russia possiede circa 2.000 armi nucleari tattiche, con centinaia di tipologie di vettore diverse, conservate in strutture di stoccaggio in tutto il Paese. Sono tattiche perché sviluppate per essere utilizzate in un contesto specifico: contro truppe sul campo di battaglia o contro strutture e aree di interesse militare. Tali armi possono essere lanciate tramite gli stessi missili a corto raggio che la Russia sta attualmente utilizzando per bombardare l’Ucraina, come il suo missile balistico Iskander che ha una portata di circa 500 chilometri. Non è possibile stimare con precisione la capacità esplosiva di queste testate ma è sicuramente molto varia.

Gli effetti dell’atomica su persone e territorio. L’Italia è a rischio?
Qualsiasi utilizzo di armi nucleari avrebbe conseguenze catastrofiche e di vasta portata, soprattutto in regioni densamente popolate come l’Europa. Una singola detonazione potrebbe uccidere centinaia di migliaia di civili, vaporizzandoli all’istante. Inoltre, causerebbe danni enormi alle infrastrutture, per esempio idrauliche e sanitarie, anche nelle zone circostanti al luogo dell’impatto. Una conseguenza che costringerebbe spostamenti di massa di persone e gravi disagi economici. Ma l’impatto maggiore sarebbe rappresentato dalla ricaduta radioattiva che potrebbe contaminare vaste aree in più Paesi: danni alla salute a lungo termine nei sopravvissuti, contaminazioni di aria, suolo, acqua e approvvigionamento alimentare.

“Se un’unica bomba dovesse essere usata in Ucraina non credo che avrebbe impatto sull’Italia. Gli effetti rilevanti variano dalle decine alle poche centinaia di chilometri”, specifica l’analista. Diverso sarebbe per altri Paesi europei più prossimi al confine: “Chiaramente dipende molto dalla capacità dell’arma e dalla città colpita. Per esempio, se l’obiettivo del lancio fosse Leopoli è ipotizzabile che Polonia, Romania e Slovacchia possano subire delle conseguenze. Anche perché non ci sono grandi catene montuose a separare questi territori”, spiega Vignarca. Ma cercare di isolare i danni di un’unica detonazione atomica è un esercizio fine a se stesso. Per comprendere l’effetto apocalittico a cui potrebbe condurre lo sdoganamento dell’arma nucleare è possibile fare riferimento a uno studio condotto dall’International Physicians for the Prevention of Nuclear War, un’organizzazione internazionale vincitrice del Nobel per la pace del 1985. Il report illustra gli effetti sul clima che avrebbe una guerra nucleare regionale: anche fosse molto “limitata“, coinvolgendo meno dello 0,5% delle armi nucleari mondiali esistenti, sarebbe sufficiente a causare un catastrofico sconvolgimento climatico globale e una carestia mondiale, mettendo a rischio la vita di 2 miliardi di persone.

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