Al termine della settima udienza a Mansura, è stato rinviato al 29 novembre il processo a carico di Patrick Zaki, lo studente dell’Università di Bologna, dopo i 22 mesi passati in custodia cautelare fino al dicembre scorso. Rischia altri cinque anni di carcere per diffusione di notizie false. Le previsioni della vigilia indicavano già un lungo aggiornamento: di “due o tre mesi”, e secondo una fonte giudiziaria il rinvio servirebbe a dar tempo di maturare “una decisione politica che congeli completamente il processo e conceda a Patrick la sua totale libertà”.

La sua avvocata principale, Hoda Nasrallah, non ha voluto rilasciare dichiarazioni e lo stesso Patrick di recente aveva detto di non attendersi “nulla” dall’udienza odierna anche se in teoria il giudice monocratico di Mansura avrebbe potuto assolverlo, annullare la scarcerazione o rinviare a “chissà quando”. L’appuntamento era come sempre davanti all’ala nuova del vecchio Palazzo di Giustizia di Mansura, la città natale di Patrick dove opera una locale Corte della Sicurezza dello Stato per i reati minori (o d’emergenza). Il tribunale lo sta processando dal 14 settembre dell’anno scorso per un articolo su controverse discriminazioni della minoranza cristiana in Egitto, dichiaratamente perseguitata dall’Isis.

Ad assistere all’udienza, su richiesta dell’Ambasciata italiana al Cairo, anche diplomatici di Italia, Unione Europea, Stati Uniti e Canada. La loro presenza è legata a un programma di “osservazione” da parte dell’Ue di processi egiziani rilevanti per il rispetto dei diritti umani cui partecipano anche altri paesi tra cui appunto gli Usa. L’Italia è sempre stata in prima fila in questo tipo in questo monitoraggio fin dal febbraio 2020, quando iniziò la vicenda giudiziaria dello studente egiziano dell’Università di Bologna.

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