Mentre lo spettro dell’uso dell’atomica torna ad aleggiare sulla guerra in Ucraina, gli Usa sono impegnati ad armare non solo l’esercito di Kiev ma anche quello di Taipei e hanno da poco rimosso l’embargo alla vendita di prodotti militari a Cipro, eliminando di fatto le restrizioni imposte nel 1987 contro l’isola. Tutto ciò però avviene nel momento in cui il Dipartimento di Stato annuncia che non pubblicherà più il report relativo alle spese militari e al trasferimento di armi, riducendo pertanto la trasparenza degli Usa su un fronte delicato e sempre più di attualità. Nei giorni scorsi il presidente Joe Biden ha infatti annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari per l’esercito di Kiev dal valore di 600 milioni di dollari. L’amministrazione Usa si è impegnata a fornire agli ucraini artiglieria, munizioni, radar ed equipaggiamento vario per sostenerli nella lotta contro i russi, attingendo ancora una volta alle riserve americane e arrivando ad investire altri 15 miliardi di dollari. Quest’ultimo pacchetto di aiuti rientra però nel budget di 40 miliardi approvato da Biden a maggio per sostenere Kiev e affrontare le conseguenze della guerra, e a cui l’amministrazione Dem vorrebbe aggiungere altri 13.7 miliardi, dietro approvazione del Congresso, da spendere prevalentemente in forniture militari.

Nello specifico, 4.5 miliardi servirebbero per rimpinguare l’arsenale americano, 2.7 per sostenere militarmente Kiev, 4.5 dovrebbero invece andare al governo ucraino, mentre i restanti 2 miliardi, nelle previsioni dell’amministrazione Usa, dovrebbero servire per mitigare le conseguenze delle sanzioni imposte dall’occidente alla Russia. Ma l’Ucraina non è l’unico paese che gli Stati Uniti sono interessati ad armare. A inizio settembre l’amministrazione Biden ha approvato la vendita di prodotti militari a Taiwan per un valore di 1.1 miliardi di dollari, dando così luce verse al quinto pacchetto di sostegno verso l’isola, nonché il più cospicuo fino ad oggi. Una decisione accolta negativamente dalla Cina, anche considerando che tra i materiali che saranno consegnati a Taipei figurano 60 missili antinave Harpoon, 100 missili tattici aria-aria Sindewinder per agli F-16, mentre si prevede l’estensione del contratto per i sistemi di sorveglianza radar. Ma non è tutto. A metà mese la Commissione affari esteri del Senato ha anche dato l’ok a un disegno di legge che, se approvato in via definitiva, rafforzerà in modo significativo i legami tra gli Usa e l’isola sul piano militare e diplomatico. Il Taiwan Policy Act prevede prima di tutto lo stanziamento di 4.5 miliardi di dollari in quattro anni per la fornitura di attrezzature militari, addestramento e altro supporto volti al fine di ammodernare dell’esercito dell’isola, ma si propone anche di elevare lo status dell’isola a quello di “importante alleato non NATO”.

Negli stessi giorni è arrivata anche un’altra notizia interessante dal Dipartimento di Stato. Gli Usa hanno revocato tutte le restrizioni al commercio in vigore contro Cipro per l’anno fiscale 2023 nell’ambito della Difesa, mettendo pertanto fine a un embargo imposto nel 1987 per agevolare le ricerca di un accordo diplomatico tra la parte turca e quella greco-cipriota e che aveva già visto dei primi alleggerimenti con Donald Trump. Gli aiuti militari all’Ucraina, la vendita di armi a Taiwan e l’eliminazione dell’embargo contro Cipro arrivano però in concomitanza con lo stop alla pubblicazione del report sulle spese militari e il trasferimento di armi redatto ogni anno dal Dipartimento di Stato. Una scelta che riduce la trasparenza degli Usa e limita la capacità di controllo dell’operato del maggiore esportatore di materiale bellico al mondo. Come si evince infatti dall’ultimo volume del rapporto, rilasciato nel 2021 e in cui si analizza anche il periodo 2009-2019, gli Stati Uniti sono stati i maggiori fornitori di armi al mondo nell’ultimo decennio. Nello specifico, il 79% del commercio di materiale militare appartiene agli Usa. Ma Washington non si limita a fornire armi al mercato estero: gli Stati Uniti sono anche il paese che dedica il maggior numero di risorse al settore della Difesa a livello mondiale, come dimostrano i dati dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI). In uno scenario globale che ha visto le spese militari superare i 2 trilioni di dollari nel 2021, la guerra in Ucraina non farà che aumentare tanto la corsa al riarmo quanto i fondi statali dedicati alla Difesa, mentre le responsabilità dei governi verso i propri cittadini e il rispetto del principio di trasparenza continuano ad essere messi in secondo piano.

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