Crisi energetica, aumento dell’inflazione, tassi di interesse in crescita e una potenziale, nuova crisi del debito italiano: sono gli ingredienti della tempesta perfetta che per molti è già scoppiata. Tanto che “il problema è il breve periodo”, commenta Michele Polo, ordinario di Economia politica all’università Bocconi di Milano e redattore del sito di informazione economica Lavoce.info. “Rispetto alla pandemia i rincari dell’energia colpiscono i Paesi europei in modo differenziato e la compattezza necessaria a iniziative come il tetto al prezzo del gas non è scontata”, avverte. Quanto all’Italia, Polo scavalca la campagna elettorale: “Il prossimo governo non potrà fare molto di diverso da quello che è il solco avviato da Draghi, ma – questo teme – potrebbero farlo con meno incisività o addirittura con una dialettica che rischiamo di pagare cara”.

Cosa sta succedendo in Europa?
Quello a cui assistiamo viene da lontano: i prezzi di gas ed elettricità sono in salita da oltre un anno. La prima fase della tempesta è stata quasi fisiologica, legata alla ripresa dell’economia mondiale post pandemia dove la repentina crescita della domanda di beni, fra cui l’energia, ha spinto i prezzi. La seconda, a partire dalla fine del 2021, riguarda la contrazione graduale delle esportazione di gas russo in Europa che hanno messo in tensione il mercato energetico, elettricità compresa perché sono le centrali elettriche a gas a “fare il prezzo”. Già in questa fase abbiamo visto varare misure a sostegno di fasce deboli e industrie più energivore. Salvo poi ritrovarci in una situazione ancora diversa, una terza fase innescata dalla guerra con il prezzo del gas che è dieci volte quello della primavera 2021. Per la prima volta l’Europa si scopre vulnerabile rispetto alle forniture russe che nemmeno in tempi di guerra fredda erano state oggetto di uso politico”.

Perché dice che il problema è nel breve periodo?
Se ci diamo un paio d’anni di margine possiamo sostituire il gas russo con altre fonti, utilizzare i rigassificatori per comprare altrove quello liquido e uscire dalla spirale. Ma nel breve termine quello che potevamo fare è già stato fatto, a partire dall’aumento dei flussi da gasdotti come quello algerino. Quanto al razionamento della domanda energetica, la sua efficacia è tutta da verificare. Nel frattempo non si può che introdurre sostegni economici che assorbono l’aumento dei costi con il bilancio pubblico, ma ovviamente significa altro indebitamento, prospettiva che mette in difficoltà paesi come l’Italia, con debito elevato e cresciuto ulteriormente per la pandemia.

Il prossimo governo avrà a che fare con aziende che chiudono, lavoratori in cassa integrazione, meno entrate per lo Stato.
I vincoli che abbiamo, debito pubblico elevato in una fase di tassi di interesse crescenti, non lasciano margine al nuovo governo. Non possiamo allargare le maglie o insinuare dubbi di politiche di bilancio allegre perché la pressione sullo spread si farebbe sentire con i mercati che scommetterebbero sul nostro default. Quanto alle risorse del Pnrr, per continuare ad affluire dovranno vedere la prosecuzione delle politiche avviate e approvate dal Parlamento. Temo però, soprattutto, se i sondaggi saranno confermati, l’incompetenza e la faciloneria con cui certi personaggi si lanciano in dichiarazioni che hanno ricadute immediate, e l’approssimazione con cui i programmi dei partiti affrontano questioni delicatissime. Non potranno fare molto di diverso da quello che è il solco avviato da Draghi, ma potrebbero farlo con meno incisività o addirittura innervosire i mercati con una dialettica inopportuna.

Per le materie energetiche invece dipendiamo dall’Unione europea?
L’Italia da sola non può fare molto, ma anche in Europa ci sono incognite. Se la pandemia ha colpito in modo grave un po’ tutti Paesi Ue e di conseguenza ha visto la disponibilità della Commissione europea ad attuare politiche di indebitamento con il sostegno di tutti, ora la crisi energetica colpisce gli Stati membri in modo più differenziato, con Germania e Italia maggiormente esposti in quanto principali acquirenti di gas russo e paesi come Spagna e Portogallo che hanno un’elevata dotazione di rigassificatori e possono in parte sottrarsi alle importazioni via gasdotto. Ma anche paesi come l’Olanda che sono addirittura produttori di gas. Per questo una risposta comune c’è stata, ma nelle misure concrete potrebbe rivelarsi meno compatta, a partire dalla questione del tetto al prezzo del gas.

Arriveremo mai al Price Cap?
La prospettiva necessita di un negoziato tra Ue e Russia che appare difficile perché gli interessi sono totalmente contrapposti: per i russi significa rinunciare alle entrate in valuta pregiata che oggi incassano. La seconda difficoltà è data dal profilo politico del negoziato e cedere avrebbe per la Russia un costo altissimo in termini di reputazione. Da ultimo serve valutare le forze e le debolezze negoziali. La forza della Commissione europea è il potere negoziale nei confronti di Mosca, con volumi enormi di gas acquistato e una posizione da monopsonista (acquirente unico, ndr) per i gasdotti che dalla Russia viaggiano verso l’Ue.

Un potere negoziale che ad oggi non è bastato.
Perché la debolezza dell’Europa, soprattutto con l’inverno alle porte, è altrettanto decisiva. Se i Russi dovessero chiudere i rubinetti del gas, anche solo per una fase del negoziato, il nostro margine per sopperire alla mancanza di forniture non va oltre a un paio di mesi. Magari il razionamento della domanda ci darà un po’ di margine ma è tutto da vedere. Ad oggi è impossibile dire quale esito avrà un’iniziativa come il Price Cap, perché bisogna negoziare con Mosca e vedere a quale prezzo può essere trovato un accordo. Non dimentichiamo che per un paese come la Germania il principale utilizzo del gas naturale è nell’industria e solo dopo vengono le famiglie. Ecco perché tanta prudenza.

E la politica monetaria?
A differenza degli Stati Uniti, dove l’inflazione è dovuta alle politiche fiscali estremamente espansive decise dalla Casa Bianca e della Fed per spingere l’economia, in Europa ci troviamo di fronte a un’inflazione spinta da una questione energetica che ricade sui costi di produzione di tutti i beni e rispetto alla quale la politica monetaria non può fare molto. Allo stesso tempo, se si alzano i tassi negli Usa l’Europa non può discostarsi troppo perché rischia di indebolire l’Euro, e quindi li alza a sua volta. Ma con la crisi in atto anche gli effetti della politica monetaria sono più incerti, perché la principale determinante del ciclo economico dei prossimi mesi sarà il mercato energetico.

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