La riscrittura delle alleanze e degli equilibri internazionali dettata dalla guerra in Ucraina sta coinvolgendo anche il Nord Africa e in particolare l’Algeria, paese conteso tra Russia, Francia ed altri Stati europei interessati a rafforzare i legami con il governo di Abdelmadjid Tebboune. A favorire questa competizione tra potenze è l’emergere delle prime incrinature nella catena di approvvigionamento di materiale militare che unisce Mosca e Algeri, principale importatore dei prodotti bellici realizzati dalle industrie della Federazione. A causa della guerra, la Russia ha dovuto mettere al primo posto le esigenze del suo esercito, spostando il focus della produzione nazionale dal mercato estero a quello interno. Una scelta che ha però influito negativamente sulle sue capacità di rispettare gli accordi presi con Paesi terzi riguardo la fornitura di materiale militare, mettendo in difficoltà quei governi che fanno in larga parte affidamento sui prodotti russi. Tra questi spicca per l’appunto l’Algeria, che vede nel suo arsenale i jet MiG-29 e Su-30, i carri armati T-90 e T-72 e i sistemi anti missilistici S-300 ed S-400, tutti di produzione russa e per la cui manutenzione sono necessari componenti da importare ancora una volta dalla Federazione.

Il Cremlino però ha tutto l’interesse a evitare che i rapporti con Algeri si incrinino a causa della guerra ed è in quest’ottica che può essere letta l’esercitazione militare congiunta che dovrebbe svolgersi a novembre al confine con il Marocco. La scelta di schierare le truppe in questa specifica zona, tra l’altro, non è casuale. Le relazioni tra Algeri e Rabat continuano ad essere tese a causa della contesa aperta per il Sahara occidentale, area desertica ufficialmente sotto il controllo della monarchia marocchina ma la cui sovranità è contestata dal Fronte di liberazione del Polisario, appoggiato dall’Algeria. Lo scontro sul Sahara occidentale è servito a entrambi i Paesi nordafricani come scusa per intensificare le operazioni di approvvigionamento militare, pur in assenza di un reale interesse verso un conflitto aperto, favorendo le industrie belliche estere.

Ma tra le carte che Mosca può giocarsi per mantenere saldo il legame con Algeri vi sono anche nuovi progetti energetici, come la creazione di una centrale nucleare, o aiuti nel settore alimentare, ugualmente colpito dalla guerra in Ucraina. Il Paese nordafricano è il maggiore importatore di generi alimentari del continente e dipende dall’estero soprattutto per il soddisfacimento del fabbisogno di cereali e latte in polvere.

Nonostante ciò, il rischio che l’Algeria si rivolga ad altri Paesi per ottenere nuovi prodotti bellici resta. A trarne vantaggio potrebbero essere quei governi con cui Tebboune ha siglato di recente nuovi accordi energetici, tra i quali spicca l’Italia. Dal 2014, Roma è il principale esportatore europeo di sistemi militari verso l’Algeria e un eventuale rafforzamento della cooperazione in questo settore farebbe anche gli interessi delle maggiori aziende italiane della Difesa. Leonardo, per esempio, fa parte dal 2019 di una joint venture con il ministero della Difesa algerino per l’assemblaggio, la vendita e la fornitura di assistenza per i suoi elicotteri utilizzati dalle forze armate algerine, ma anche Fincantieri, Intermarine e Beretta hanno ricevuto in passato commissioni importanti da parte di Algeri. Un avvicinamento tra il nostro Paese e quello nordafricano farebbe inoltre gli interessi degli Stati Uniti, desiderosi di sottrarre l’Algeria alla sfera di influenza russa.

A temere invece un rafforzamento dei legami con Roma o con qualsiasi altro Paese (europeo e non) è la Francia. Il presidente Emmanuel Macron si è recato a fine agosto nell’ex provincia francese, diventata indipendente nel 1962 dopo otto anni di guerra, per rinsaldare i rapporti con il governo di Tebboune, ma l’accoglienza riservatagli non è stata delle più calorose. D’altronde le relazioni tra i due Paesi negli ultimi anni sono state piuttosto tese: Macron ha accusato l’Algeria di riscrivere la storia in chiave anti-francese e ha imposto una riduzione del 50% dei visti concessi agli algerini. Provvedimento a cui Algeri ha risposto richiamando temporaneamente in patria l’ambasciatore a Parigi e vietando per mesi l’accesso al proprio spazio aereo agli aerei militari francesi. Ma il segno più evidente dell’allontanamento di Algeri dalla Francia è la progressiva sostituzione del francese con l’inglese nell’insegnamento scolastico, secondo quanto annunciato a luglio dal presidente algerino. L’uso del francese in ambito amministrativo, accademico ed economico è uno dei lasciti del colonialismo maggiormente discussi nel Paese nordafricano, ma rappresenta un importante legame con la Francia che l’Eliseo ha tutto l’interesse a preservare.

Questo particolare momento storico, che vede un progressivo allontanamento da Parigi coincidere con l’emergere delle prime incrinature nei legami con la Russia a causa della guerra, rappresenta quindi un’opportunità probabilmente irripetibile per quegli Stati interessati a rafforzare la propria influenza in Algeria e per il futuro stesso del Paese.

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