Nel comizio di Domodossola di sabato 23 luglio, Matteo Salvini ha sfoderato tutti i cavalli di battaglia cari alla Lega. Immancabili la sicurezza, la lotta all’immigrazione, ma anche la battaglia contro la cosiddetta “teoria gender“, da sempre agitata come spauracchio dalla fascia più integralista del Carroccio. Per farlo, l’ex ministro ha preso spunto dal caso del preside di una scuola materna di Pistoia, che ha proposto di eliminare il rosa e l’azzurro dai grembiulini contro gli stereotipi. Con il risultato di mischiare in poco più di un minuto e mezzo temi relativi alla formazione, l’inclusività, i diritti e la parità facendone un gran minestrone a uso elettorale. Strafalcioni inclusi. Anche per questo l’intervento è finito in rete scatenando centinaia di critiche e commenti ironici. “In questo asilo – dice riferendosi a Pistoia – dall’anno prossimo non metteranno più il grembiulino azzurro al maschietto e rosa alla femminuccia perché è discriminatorio, ma sarà giallo per tutti. Sul registro di un’altra scuola elementare e anche di una una scuola media non si parla agli alunni con i nomi di battesimo, quindi quando fanno l’appello non ci sono Giorgia, Antonello, Elena… Si fa l’appello per cognome, per non discriminare, perché a 7 anni c’è qualche bambino che si sente fluido. Una follia assoluta”.

Nel campo politico tra i commenti c’è quello di Alessandro Zan, autore del disegno di legge contro l’omotransfobia che su Twitter scrive: “Secondo Salvini l’appello per cognome nelle scuole sarebbe applicazione della fantomatica “teoria gender”. Siamo oltre il ridicolo: il modo in cui i sovranisti speculano sui bambini e la loro educazione per il consenso è semplicemente pericoloso. Fermiamoli”. Molti altri sui social network fanno notare, non senza ironia, come l’appello si faccia da sempre per cognome, anche per evitare confusione a causa di eventuali omonimie presenti in classe. Ma al di là dello scivolone sull’appello, Salvini banalizza e sintetizza in maniera errata alcuni temi reali, su cui negli ultimi anni, anche grazie all’impegno delle associazioni per i diritti, è aumentata la sensibilità in moltissime scuole. Anche in quelle elementari. Sono questioni che intrecciano l’educazione, il rispetto delle identità di genere e la lotta agli stereotipi. Basti pensare ai tanti dirigenti che promuovono nei propri istituti le carriere alias per i ragazzi e le ragazze transgender, in modo da favorire il loro benessere e fare in modo che tutti si trovino a loro agio. E quindi indicano in tutti i documenti interni, registri elettronici compresi, il nome e il genere scelto dallo studente (anche se diverso da quello indicato nei documenti d’identità). Uno degli ultimi casi è del liceo artistico Nervi-Severini di Ravenna, dove il preside ha detto di volere rendere l’adozione della carriera alias “non una concessione caso per caso, ma una regola”.