Dopo 37 giorni è finalmente arrivata la fumata bianca a Palermo: il neo sindaco Roberto Lagalla, frenato finora da partiti e partitelli che formavano la grande corazzata che lo ha sostenuto in campagna elettorale, ha ufficializzato la lista di nomi per la giunta. Così che più di cinque settimane dopo le elezioni comunali, il capoluogo siciliano ha un podio per il governo con cuffariani, renziani, forzisti, meloniani e leghisti, tra cui non manca chi ha attraversato, cambiando partiti, tutto l’arco costituzionale.

Il lungo parto per formare l’amministrazione comunale, d’altronde, ha una causa chiarissima: i tanti dissensi di una coalizione molto ampia che includeva la Nuova Dc di Totò Cuffaro e in extremis anche Forza Italia, l’ultimo partito entrato in coalizione per le resistenze di Gianfranco Miccichè, sulle quali hanno avuto infine la meglio le spinte di Marcello Dell’Utri, che, sbarcato sull’isola nei mesi precedenti, aveva da subito dichiarato il suo apprezzamento per Lagalla, risultato infine vincitore. Un’esegesi, quella della candidatura del neo sindaco, che aveva creato non poche polemiche proprio dovute al fatto che la sua candidatura fosse sostenuta da due condannati per reati connessi alla mafia, come Cuffaro e Dell’Utri.

“Non sarò condizionato”, aveva assicurato il neo sindaco di Palermo che aveva addirittura deciso di non partecipare alla commemorazione, il 23 maggio, dei trent’anni dalla strage di Capaci. È andato invece all’albero della pace, oggi, per la commemorazione della strage di Via D’Amelio, infiammando le polemiche – è stato contestato dai ragazzi della Agende rosse –, poco dopo avere dato i nomi della sua giunta, più di un mese dopo la sua elezione. Un ritardo provocato soprattutto, stando ai ben informati, dai “piccoli”, ovvero quelle liste che non hanno superato la soglia di sbarramento, come quella che faceva capo a Totò Lentini, che ha rinunciato alla corsa a sindaco per convergere su Lagalla, e qualche giorno fa ha sbattuto i pugni sul tavolo per ottenere un posto al sole del palazzo comunale.

A chiedere qualcosa in cambio dopo l’elezione al primo turno sono stati però in tanti, da Saverio Romano a quell’Udc che lo ha sostenuto ufficialmente sin dall’inizio permettendo la sua elezione. A non facilitare le cose, poi, la circostanza che in piena campagna elettorale lo stesso sindaco aveva sottoscritto un patto con i componenti della coalizione in cui si impegnava a dare qualcosa in cambio a chiunque avesse superato il 3,5 per cento. Lagalla paga lo scotto, poi, di non avere eletto nessun consigliere: le sue liste, infatti, non hanno superato la soglia (salvo quella composta dai renziani, unici ad entrare in consiglio). Oltre i piccoli, però, a fare bizze pure la Nuova Dc di Cuffaro: ad entrare in giunta per loro è Giuliano Forzinetti, ex consigliere di circoscrizione, contestatissimo dai suoi, tanto che in chat ha infine sbottato lo stesso Cuffaro, cercando di placare gli animi. Molto vicina all’ex presidente della Regione c’è anche Antonella Tirrito, così che Totò Vasa Vasa, condannato per favoreggiamento a Cosa nostra, ottiene due posti in giunta, anche se ufficialmente Tirrito è considerata in quota Lagalla.

Di più fanno solo Forza Italia e Fratelli d’Italia che ne possono contare tre a testa. Carolina Varchi la spunta, infatti, come vicesindaca: la pupilla di Giorgia Meloni si era ritirata dalla corsa per permettere a Fdi di sostenere il neo sindaco. In quota meloniana, entrano anche Giampiero Cannella, coordinatore per il partito per la Sicilia occidentale e l’eurodeputato Dario Falzone. In quota Fi, spicca come primo nome quello di Aristide Tamajo, padre del consigliere regionale, Edy. I Tamajo che vantano un consenso solidissimo nel popolato quartiere Partanna-Mondello, sono rientrati in Forza Italia solo da pochi mesi: da Grande Sud – partito di Miccichè – erano passati in polemica con il forzista in Sicilia Futura di Totò Cardinale, da lì un breve passaggio con Matteo Renzi nel 2019, per poi ritornare sotto l’ala di Miccichè che grazie a loro ha raggiunto quota primo partito di centrodestra a Palermo (il primo in assoluto è risultato il Pd).

Quattro dei sette consiglieri eletti da Fi sono in quota Tamajo, soprattutto Ottavio Zacco, tra tutti il più votato in città. Non poteva dunque mancare un assessorato per i Tamajo, incassato da quell’Aristide che è stato prima consigliere provinciale, poi consigliere comunale, ed è stato tra gli assunti – non senza polemiche – nell’ufficio gabinetto dell’assessora ai Beni culturali, Pina Furnari durante il governo regionale di Rosario Crocetta. Di Forza Italia entra in giunta anche Andrea Mineo, figlio di Franco, storico braccio destro di Miccichè. Mineo senior nel 2014 era stato condannato in primo grado per intestazione fittizia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra: per l’accusa era il prestanome di Angelo Galatolo, rampollo e volto pulito dell’omonima famiglia mafiosa dell’Acquasanta, borgata marinara di Palermo. L’aggravante mafiosa non ha però retto in secondo grado: la corte d’Appello di Palermo non ha riconosciuto l’agevolazione per Cosa nostra mentre gli altri reati sono risultati prescritti.

A chiudere il trittico forzista è Rosi Pennino, ex moglie del renziano Davide Faraone. Cresciuta come pasionaria dello Zen nel centrosinistra, Pennino è da qualche anno traghettata sotto l’egida forzista. In giunta non mancano renziani, anche se il leader di Italia Viva in persona ha rifiutato di appoggiare la candidatura di Lagalla, i suoi a Palermo sono entrati in una delle liste legate al neo sindaco e tre di loro sono stati eletti. Al tavolo di Lagalla arriva, infatti, il più navigato nella rosa dei nomi stilata dal sindaco, ovvero quel Totò Orlando che ha guidato il consiglio comunale per un decennio, prima vicino all’ex sindaco suo omonimo, poi passato tra le file dei renziani. A completare la rosa di governo è Maurizio Carta, considerato molto vicino al neo sindaco e che ha frequentato tutte le ultime scuole politiche dei renziani in Sicilia. Carta è anche responsabile del cantiere nazionale di Italia Viva su infrastrutture, mobilità e logistica. La Lega, infine, incassa l’assessorato per Sabrina Figuccia, membro di una dinasty palermitana, confluita da poco nel partito guidato da Matteo Salvini non senza mal di pancia dei leghisti palermitani della prima ora. Igor Gelarda dopo le elezioni ha lasciato il partito in polemica con la gestione del Carroccio in Sicilia per abbracciare quello di Cateno De Luca. Restano a bocca asciutta – almeno per il momento – tutti quei piccoli che sembra avessero finora tutta la responsabilità della vacatio di governo comunale durata addirittura cinque settimane. Una gestazione che non sembra segnare il migliore degli esordi per il neosindaco.

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