Oggi doveva essere emessa la sentenza, ma la chiavetta Usb dove si trova “il 90% degli atti” del processo Eternit bis è inservibile e la Corte d’appello di Torino è stata costretta a un rinvio. “Siamo mortificate – hanno spiegato i giudici – ma quando siamo andate a cercare un certo passaggio di una consulenza tecnica non abbiamo trovato nulla. È come se la chiavetta fosse vuota o danneggiata”. L’imputato è l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, per il quale il pg Carlo Maria Pellicano aveva chiesto la conferma della condanna a 4 anni per la morte di due persone dovuta, secondo l’accusa, all’amianto lavorato nello stabilimento di Cavagnolo. Il verdetto si primo grado era stato emesso il 23 maggio 2019.

La corte ha chiesto al procuratore Pellicano di recuperare il materiale e il magistrato ha detto che si rivolgerà al collega che sostenne l’accusa al processo di primo grado. Quasi “il 90%” del materiale era custodito nella chiavetta. La causa è stata rinviata alla fine di settembre per quella che tecnicamente è stata definita “ricostruzione di atti mancanti”. La Corte concederà poi alle difese un ulteriore “termine” di 15 giorni.

Il processo per le responsabilità delle morti legate all’amianto è stato diviso in diversi filoni giudiziari per ragioni di competenza territoriale. Quello sui molti decessi di Casale Monferrato, dove c’era la fabbrica Eternit, è finito a Vercelli, quello per i morti di Rubiera è andato a Reggio Emilia, e infine il processo per gli otto decessi di Bagnoli si è concluso in primo grado a Napoli con la condanna a 3 anni e mezzo per un solo caso e la prescrizione degli altri sette. I fatti “storici” al centro dei vari filoni sono gli stessi del processo chiuso in Cassazione il 20 novembre 2014, che aveva causato un’esplosione di polemiche dopo che la Corte aveva assolto Schmidheiny per prescizione.

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