Il caso Eternit torna al Palazzo di Giustizia di Torino. Si è aperto il processo d’appello relativo a uno dei filoni originati dalla cosiddetta inchiesta bis sui decessi provocati in varie località italiane dall’amianto lavorato dalle filiali della multinazionale. In questo caso si tratta del decesso di due persone a Cavagnolo (Torino). Il procuratore generale, Carlo Maria Pellicano, ha chiesto la conferma della condanna a 4 anni di carcere dell’imputato, il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, inflitta in primo grado dal tribunale nel 2019. Nel procedimento in corso nel capoluogo piemontese l’imprenditore è chiamato a rispondere (per la decisione presa dal gup al termine dell’udienza preliminare) di omicidio colposo. A Novara si sta celebrando in questi mesi un processo dove invece l’accusa è di omicidio con dolo per i decessi avvenuti a Casale Monferrato.

Ieri al termine di un’”udienza fiume” la Procura di Napoli invece ha chiesto 23 anni e 11 mesi per Schmidheiny imputato davanti alla Corte di assise di Napoli (seconda sezione, presidente Concetta Cristiano) per la morte di otto persone (sei operai e due familiari) determinato, secondo i pm Giuliana Giuliano e Anna Frasca, dalle gravi malattie sviluppate per la prolungata esposizione all’amianto subìta non solo nello stabilimento Eternit di Bagnoli ma anche nelle loro abitazioni, dove venivano lavate le loro tute da lavoro. Non solo. Ad un certo punto, sempre secondo i testimoni, i lavoratori erano costretti a coprirsi la bocca con i fazzoletti perché non venivano più fornite le mascherine. Secondo la testimonianza del fratello dell’imputato, inoltre, a casa Schmidheiny si parlava della nocività dell’amianto ma negli stabilimenti si continuava a trattarlo senza le dovute cautele e, soprattutto, insabbiando i possibili rischi a cui erano esposti i lavoratori. I sostituti procuratori, nel formulare le richieste alla Corte, hanno escluso le aggravanti ma invece tenuto conto, tra l’altro, della condotta sprezzante nei confronti del “sistema giustizia” manifestata dall’’imputato ed evidenziata nelle interviste ai media.

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Brindisi, un testimone e la stessa squadra di investigatori: così dopo venti anni si è fatta luce sugli omicidi della “guerra dei padellari”

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