La questione delle atomiche lega a filo doppio l’Italia agli Stati Uniti, in una dipendenza multilivello – psicologica, culturale, economica e militare – che dalla liberazione delle truppe alleate il 25 aprile 1945 continua fino a oggi, dopo la formalizzazione di una serie di trattati bilaterali tra Roma e Washington. Pare chiaro, in queste condizioni geopolitiche, soprattutto dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, che se non ci saranno in futuro tentativi di scrollarsi di dosso, o almeno di smussare o modificare il vassallaggio attuale, il nostro paese non potrà mai vantare una propria sovranità e una politica estera autonoma. Washington comanda e Roma obbedisce. Nonostante i grandi
cambiamenti nella politica e nella società, il nostro paese rimane periferia dell’impero americano. E lo è sempre più, con il ricompattamento della Nato per fronteggiare la Russia e il rafforzamento del controllo dell’America sugli alleati europei. L’esplicitazione più netta e concreta del rapporto di vassallaggio dell’Italia nei confronti degli Stati Uniti è rappresentata proprio dalle bombe americane custodite a Ghedi e Aviano. Quasi nessuno in politica oggi è disposto a parlarne, né pubblicamente né off the record. Ci ho provato, ma ho scoperto che l’argomento crea quasi sempre nei politici di diversi partiti imbarazzo, fastidio, reazioni seccate, significativi silenzi. Uno di quegli argomenti di cui è meglio non parlare, tanto non serve e non cambia nulla. Un’eccezione c’è. Tra i politici che non hanno avuto peli sulla lingua in materia spicca Rino Formica, novantacinque anni, esponente di livello del Partito socialista italiano ai tempi di Bettino Craxi, ministro in importanti dicasteri dal 1980 al 1992, nell’era dei governi pentapartiti del centrosinistra. Formica ha parlato di nucleare e di dipendenza dell’Italia dagli americani in un’intervista a Walter Veltroni, pubblicata dal «Corriere della Sera», incentrata sui misteri italiani, gli anni degli attentati, le stragi, il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, la fine della prima Repubblica.

Il politico socialista affermava che «tra il 1948 e il 1989, quaranta anni, in un paese di frontiera come l’Italia, si è combattuta una guerra fredda. I due campi ideologici non erano in condizione di poter dialogare senza misurarsi costantemente sul piano della forza. Ma non più la forza militare. Ogni volta che si stava per arrivare al punto dello scontro, del passaggio dalla guerra fredda alla guerra calda, i due imperi frenavano. Questa guerra di aggiustamento delle condizioni di squilibrio che si andavano a creare nelle due aree non poteva non avvenire che con mezzi occulti, coperti, non visibili». E qui Formica racconta un episodio mai rivelato da nessuno prima, la vicenda della «circolare Trabucchi». La necessaria premessa è che Giuseppe Trabucchi, avvocato, deputato della Democrazia cristiana, era ministro delle Finanze nel governo Tambroni, l’esecutivo più a destra che l’Italia abbia mai avuto nella fase repubblicana, che rimase in carica solo quattro mesi, da marzo a luglio del 1960, e poi entrò in crisi per i cosiddetti «fatti di Genova» del 30 giugno, quando scoppiarono pesanti scontri di piazza, inscenati da sindacati e opposizione di sinistra, che protestavano contro la convocazione nel capoluogo ligure del sesto congresso del Movimento sociale italiano. Per quale motivo Formica ne parla? In sostanza il ministro Trabucchi, con una circolare del ministero di via XX Settembre, accettò nell’ombra una richiesta esplicita del dipartimento di Stato Usa, molto allarmato dalle tensioni sociali mentre nella Capitale il governo aveva la maggioranza in Parlamento grazie ai voti dei neofascisti di Almirante. La richiesta del dipartimento di Stato era: negli uffici doganali delle basi Usa in Italia, in tutti i porti e gli aeroporti, gli agenti delle dogane e della guardia di finanza dovevano essere sostituiti da militari statunitensi. Washington chiese e Roma rispose subito sì, stante – allora come oggi – il rapporto di vassallaggio che caratterizza le relazioni tra Italia e Stati Uniti. Un inaudito atto di interferenza negli affari interni di una nazione libera. Sull’episodio non vi sono altri riscontri documentali o di archivio, e una mia richiesta scritta all’onorevole Formica, nel tentativo di fargli ricordare altri dettagli o di documentare l’affermazione, non ha avuto buon esito. Sulla storia della circolare Trabucchi dobbiamo quindi fare affidamento sul testo
dell’intervista, nel punto in cui Veltroni chiede all’ex ministro socialista un’opinione sulla strage del rapido 904, diciassette morti l’antivigilia di Natale del 1984.

«Sì» risponde l’ex ministro, «dissi: “Ci hanno mandato un avvertimento”. Dissi che c’erano forze che volevano ledere la nostra sovranità. Spadolini fece un casino. C’era il governo Craxi, voleva fare una crisi per la mia intervista. Craxi mi telefonò: “Vieni a una riunione a Palazzo Chigi”. Vado, ci sono Craxi, Forlani, Andreotti ministro degli Esteri, Spadolini ministro della Difesa e Amato che stava lì come sottosegretario ai Servizi. Spadolini fa uno sproloquio: “Tu vuoi rovinare questo governo tu, così come hai fatto cadere il mio governo, vuoi far cadere anche il governo di Craxi!”. Io dissi: “No, io ho semplicemente espresso il mio pensiero. Non voglio far cadere nessun governo”. Andreotti, che ce l’aveva con Spadolini e che voleva darmi una dritta, dice col suo modo: “La sovranità limitata è un problema sempre aperto, un problema antico. La sovranità limitata con l’America noi l’abbiamo sancita con un atto amministrativo, la circolare Trabucchi”.» Silenzio.

Formica butta lì questi dettagli, quasi con nonchalance: circolare Trabucchi, sovranità limitata con l’America, atto amministrativo. E continua:

Spadolini non capisce perché è disorientato da questa cosa. Forlani guarda l’orologio e dice: «Ho un appuntamento», si alza e se ne va. Due minuti dopo Amato dice a Craxi che ha un impegno e se ne va. Restiamo Spadolini, Andreotti, io e Craxi. Craxi vede l’imbarazzo generale e dice: «Va bene, ci siamo chiariti». Andreotti mi stringe la mano come per dire: approfondisci. E in effetti Trabucchi nel giugno 1960, durante i fatti di Genova con il governo Tambroni, accettò una richiesta degli americani, evidentemente molto preoccupati, che ottennero, con una circolare del ministro delle Finanze, che negli uffici doganali delle basi americane venissero sostituiti i doganieri italiani con quelli statunitensi. Di lì passò tutto l’armamento in Italia. Passò attraverso le basi militari americane. Entrava e usciva. E la circolare Trabucchi non fu mai abolita.

Dettagli e opinioni di un uomo politico importante nell’Italia di quei tempi. Un episodio vecchio di sessantadue anni che meriterebbe di essere approfondito dagli storici e valutato per la portata che ha ancora oggi. Impossibile verificare con chicchessia della pubblica amministrazione se la circolare Trabucchi sia an cora in vigore. Nel 2019 Formica sosteneva di sì, che non era stata «mai abolita». Un atto amministrativo con una valenza geopolitica forte. C’è da ritenere che non sia cambiato nulla? Gli americani sono sempre i «liberatori» che un’ottantina di anni fa, con gli alleati, sconfissero fascismo e nazismo, e di questo saremo sempre grati. Ma se la circolare Trabucchi è ancora in vigore dobbiamo dedurre che gli yankee, oggi come allora, vanno e vengono per il nostro paese, controllano, monitorano, ispezionano, forti dei loro 12.000 soldati stanziati in molte basi sul territorio italiano e delle quaranta bombe atomiche allocate a Ghedi e Aviano? Il dubbio resta.

Articolo Precedente

Draghi a Kiev con Macron e Scholz per vedere Zelensky: prima missione dall’inizio dell’invasione. Sirene durante la visita

next
Articolo Successivo

L’Andalusia torna al voto, la sfida dei Popolari: stravincere per evitare un accordo con Vox, il partito sostenuto da Giorgia Meloni

next