Lottare contro la transizione green che danneggia gli ecosistemi della Svezia e dell’Artico. Per questo Sofia Olsson, 36 anni, si è unita al movimento di protesta non violenta Forest Rebellion. Come attivista ambientale probabilmente non si sarebbe mai aspettata di schierarsi contro alcune delle misure ecologiche del governo del suo Paese. Il governo di Stoccolma infatti negli ultimi anni è stato uno dei più attivi in Europa nella lotta al cambiamento climatico: si è impegnato ad abbattere le emissioni nette di CO2 entro il 2045, con cinque anni di anticipo rispetto alla media del continente. Per raggiungere questo obiettivo ha approvato numerosi progetti per la costruzione di impianti per la produzione di energia eolica, idroelettrica e dal biocarburante ricavato dal legname. Anche le fonti rinnovabili però hanno un costo ambientale: per fare spazio alle nuove infrastrutture, molte aree nel nord del Paese vengono disboscate e i loro ecosistemi vengono distrutti. Per questo Olsson ha deciso di sostenere la lotta dei Sami – una popolazione indigena che vive nella regione della Lapponia, tra Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia – per riprendersi i loro territori, espropriati dal governo, e proteggerli: “Quello che succede ora è solo una parte del lungo processo di ingiustizie che ha coinvolto questo popolo”. A sostegno della comunità, sono arrivate nel nord della Svezia anche alcune attiviste di fama internazionale. La tedesca Carola Rackete – nota in Italia per il caso della nave Sea Watch del 2019 – ha aderito “alla campagna di protesta di Forest Rebelliona a Muonio”. Greta Thunberg, pur non essendo “coinvolta direttamente in Forest Rebellion, ha collaborato con giovani attivisti sami (principalmente dell’organizzazione giovanile Sáminuorra)”, per discutere della riapertura dello stabilimento minerario di Gállok. “In molti sono del Sud – spiega Ollson, che viene dal Sörmland occidentale – Affittiamo delle casette e rimaniamo vicino ai Sumi per alcune settimane”. Come molti suoi compagni, l’ambientalista – che lavora per un’organizzazione comunitaria – ha dovuto “riprogrammare gli impegni e la mia vita per renderla più flessibile”. Però non se ne pente: il suo obiettivo è proteggere le foreste, che ha amato sin da piccola, sostenere i Sami e capire come aiutare i lavoratori del nord, molto spesso legati alle industrie forestali e minerarie.

Come nasce Forest Rebellion?

In Svezia di recente c’è una domanda crescente di progetti green, per la transizione ecologica dell’energia: pale eoliche o turbine per l’energia idroelettrica, miniere verdi o legname per i biocarburanti. La realizzazione di tutto questo però comporta la distruzione di molte foreste o scavi per le infrastrutture o per seppellire gli scarti. Ci vuole molto tempo perché il terreno si riprenda da questi interventi. Poi i territori per questi impianti vengono portate via ai Sami. Il governo le prende a seconda del bisogno. Questo popolo ora sta cercando di far valere i suoi diritti: ha detto “no” a una serie di progetti, tramite una serie di consultazioni ma il governo ha sempre trovato il modo di aggirarle. Per questo alcuni attivisti Sami, parte della rete di Extinction Rebellion Svezia, ha fondato Forest Rebellion. Ora siamo un movimento che vuole cambiare il percorso verso la sostenibilità della nostra nazione e il nostro rapporto con il pianeta.

Quando ha deciso di unirsi al movimento?

Ci sono stata fin dalla sua prima azione. Era vicino agli uffici di una compagnia statale che gestisce le foreste, a novembre 2020. Era il picco del covid e ci chiedevamo: “Come alziamo la voce, come lo facciamo rispettando i protocolli di sicurezza? Anche allora abbiamo avuto una chiara collaborazione da parte dei Sami e da Extinction Rebellion Svezia. Nelle due settimane successive poi ci sono state altre azioni, in diverse foreste. Ce ne è stata una anche nell’estate 2021 e il coinvolgimento è cresciuto. I problemi della crisi climatica e della biodiversità sono tanti, ma io ho deciso di mettere la mia energia sul qui e ora. Forest Rebellion cerca di aiutare con la disobbedienza civile non violenta. Ci mettiamo davanti alle macchine e le fermiamo con i nostri corpi. La comunità è molto organizzata e ha tantissime conoscenze naturali. Noi attivisti cerchiamo di imparare da loro.

Qual è l’azione più urgente per salvare la natura svedese?

Fermare lo sfruttamento delle foreste e la distruzione degli ecosistemi da parte delle grandi industrie. Ma anche pensare a lungo termine a come creare una società giusta, soprattutto ora con i progetti, che sembrano andare verso una transizione green, ma potrebbero danneggiare l’ambiente.

Lei parla di grandi industrie che sfruttano le foreste. Cosa fanno?

Basta guardare alla mole delle loro attività e alla quantità dei soldi che riescono a muovere, per accorgersi di quanto potere abbiano le industrie forestali in Svezia. Infatti abbiamo molti alberi: coprono circa due terzi del nostro territorio. Sembra una grossa percentuale, ma in realtà gran parte di queste aree boschive non sono sostenibili. Molti territori sono stati deforestati. Le piante sono state abbattute, per ripiantare quelle che a tutti gli effetti sono monocolture, non foreste vere. Questo fenomeno riduce la nostra capacità di assorbire CO2. In più rende impossibile l’allevamento delle renne, praticato da secoli dai Sami: gli animali non hanno da mangiare, senza alberi e arbusti. Anche io che, fin da piccola, mi sono sempre sentita legata ai boschi, fino a poco tempo fa non sapevo cosa fosse una foresta vera. Ho sempre camminato in mezzo a delle piantagioni.

Perché si tagliano alberi per ripiantarne altri?

Per l’edilizia e per produrre biocarburanti, soprattutto nell’ultimo periodo con la guerra in Ucraina e i piani per ridurre le emissioni di gas serra. L’energia prodotta bruciando il legname può aiutare a sostituire i combustibili fossili. Nella narrazione comune è una soluzione ben vista. Ci dicono: “Ci vogliono più alberi”. Infatti c’è l’idea che gli alberi possano risolvere tutto, senza obbligarci a cambiare le nostre vite e ad adottare azioni più sostenibili. Così prendiamo, prendiamo, prendiamo dalle foreste, ma non ci accorgiamo che gli alberi non sono risorse rinnovabili. Non risolveranno tutto loro. Sfortunatamente la situazione è più complessa.

Prima diceva che ci sono altri progetti che minacciano le foreste svedesi. Quali sono?

Le miniere. Qui se ne trovano alcune delle più grandi del mondo, soprattutto di ferro, e molte altre invece saranno costruite nei prossimi anni. Adesso ci sono progetti per crearne alcune sostenibili dal punto di vista ambientale. Ma come fanno a essere “progetti verdi? Gli scavi comportano l’abbattimento di molte foreste e il terreno e gli ecosistemi vengono gravemente danneggiati. Ci sono anche moltissimi progetti per parchi eolici nel nord della Svezia e di turbine idriche. Chi vive nel sud non ne ha idea, non è abituato a vederli. Sono molto grandi e sono destinate a rimanere in mezzo agli ecosistemi per molto tempo. Il loro rumore spaventa le renne, che le percepiscono come predatori e si allontanano dai territori. Poi si disbosca per costruire nuove strade, infrastrutture, ponti.

Cosa pensano gli svedesi di Forest Rebellion?

Molti vengono da noi, sono curiosi, ma anche dispiaciuti o frustrati. Alcuni ci ringraziano e sono felici, altri ci dicono: “Perché non siete venuti 20 anni fa, quando potevate ancora fare qualcosa? Ora poche cose sono rimaste”. C’è anche qualcuno che non capisce e ci dice che tante piccole proteste individuali sono inutili, ma per noi conta il risultato totale del movimento. Il potere è concentrato a sud della Svezia, ma le persone a nord vedono quello che succede con i loro occhi e si stanno svegliando. Cresce la consapevolezza. Il vero problema però è che il tema delle industrie forestali è molto polarizzante.

In che senso?

Parte delle foreste sono dello stato, ma altre sono di proprietà di grossi imprenditori che possono scegliere quale racconto dare di sé. Giornali e tv fanno sembrare che facciano solo cose buone. In più sono in tanti nel nord della Svezia che si affidano a loro per vivere e lavorare. Queste industrie costruiscono infrastrutture, permettono che i loro figli vadano a scuola e finanziano l’economia locale. Quindi quando si parla di loro tanti svedesi la prendono sul personale. La stessa cosa vale per le miniere. Ora si sta parlando tanto della miniera di ferro Gállok: aprirla porterebbe una distruzione di massa della biodiversità, ma porterebbe a molti lavoro per 15 anni. Noi di Forest Rebellion ci chiediamo quindi come far convivere questi bisogni differenti: come possiamo usare la natura in modo sostenibile e quale ritorno possono avere le persone.

Articolo Successivo

Polveri sottili, l’Oms rivede le linee guida: ora rischiano tutti, ma non allo stesso modo

next