L’espansione di una base navale della Marina cambogiana, finanziata da Pechino, ha riaperto lo scontro tra Cina ed Occidente per la supremazia in Asia sud-orientale e nel Pacifico. Secondo un articolo del Washington Post che citava anonimi funzionari occidentali, Pechino sta costruendo alcune strutture militari ad uso esclusivo nella porzione settentrionale della base. L’accusa è stata seccamente smentita dal portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijan, che, come riportato dalla Cnn, ha definito le illazioni “un tipico atto di bullismo da parte degli Stati Uniti”. Il ministro della Difesa cambogiano Tea Bahn ha invece dichiarato che l’espansione della base è in linea con la Costituzione che vieta la presenza di basi militari straniere sul territorio nazionale ma che non impedisce alla nazione asiatica di ricevere aiuti da parte di altri Stati.

Nel 2020 l’allora Segretario di Stato Mike Pompeo aveva lasciato trapelare che la Cina avrebbe potuto costruire una base militare presso il sito turistico di Dara Sakor, situato all’interno di un parco nazionale. La provincia di Sihanoukville, in cui si trova Dara Sakor, era ed è al centro degli interessi, anche commerciali, della Cina e dei suoi cittadini. Nel 2017, ad esempio, la provincia, che ha 1,5 milioni di residenti, è stata visitata da 1,2 milioni di turisti cinesi in alcuni casi, come ricordato da The Print, desiderosi di acquistare terreni a prezzi stracciati. La diffusione del traffico di droga nell’area di Sihanoukville e la presenza di “attività illecite” avevano spinto Washington a intervenire sanzionando aziende cinesi coinvolte in progetti edili nella zona.

La Cambogia, nonostante le piccole dimensioni e un’economia debole, riveste un’importanza strategica per la Cina e gli Stati Uniti a causa della sua posizione geografica e del ruolo regionale, esercitato attraverso l’appartenenza all’Asean (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico). Le relazioni tra Cambogia e Stati Uniti, nei loro 70 anni di storia, hanno conosciuto alti e bassi, come nei decenni successivi alla guerra del Vietnam, e sono minate da obiettivi differenti in politica estera. Washington, come ricordato dal Phnom Penh Post, è intervenuta in più occasioni negli affari interni della Cambogia sostenendo l’opposizione e alcuni gruppi della società civile. Le relazioni con la Cina, che è anche il principale investitore straniero, sono eccellenti e sono culminate nella formazione di una partnership strategica nel 2010 e nella partecipazione della Cambogia alle iniziative della Nuova Via della Seta. Il primo ministro cambogiano Hun Sen ha difeso la vicinanza con Pechino, secondo alcuni eccessiva, definendo le critiche “ingiuste” e aggiungendo, come riportato da Nikkei Asia, parole che sembrano dare adito proprio alle critiche che voleva smentire: “Se non mi affido alla Cina allora a chi dovrei affidarmi? Se non chiedo alla Cina, a chi dovrei chiedere?”. Queste frasi sono riferite anche alle sanzioni imposte alla Cambogia dall’Unione europea nel 2020 in seguito alla violazione sistematica dei diritti umani. Tra le preoccupazioni manifestate da Bruxelles c’era anche quella relativa alla sorte del principale partito di opposizione, il Cambodian National Rescue Party, sciolto nel 2017 e i cui vertici sono stati accusati di tradimento e in parte costretti all’esilio per evitare il carcere.

Il sistema politico cambogiano, come ricordato dall’organizzazione non governativa Freedom House, è dominato dal primo ministro Hun Sen e dal Cambodian People’s Party (Cpp) da più di tre decenni. Nel 2018 si sono svolte elezioni, definite non libere e non competitive dagli osservatori internazionali, che hanno consentito al Cpp di aggiudicarsi tutti i seggi del Parlamento. La Cambogia, in seguito a queste consultazioni, si è trasformata de facto in uno Stato monopartitico in cui la polizia e le forze di sicurezza vengono utilizzate dalla formazione al potere come strumenti di repressione. Hun Sen e la sua cerchia di fedelissimi assumono tutte le decisioni importanti, i media sono soggetti ad attacchi violenti e non possono operare liberamente, persino le critiche espresse dai privati cittadini nei confronti del primo ministro e del governo possono essere oggetto di vendette.

Hun Sen, nato il 4 aprile del 1951 nella provincia di Kampong Cham, aderì al Partito Comunista di Kampuchea negli anni Sessanta mentre nel decennio successivo entrò a far parte dei famigerati Khmer Rossi responsabili, durante il regime di Pol Pot (1975-1979), di 2 milioni di morti. Negli anni in cui il regime era al potere, Hun Sen fuggì in Vietnam, unendosi alle truppe che si opponevano ai Khmer Rossi. Rientrò in patria quando il Vietnam invase la Cambogia e divenne ministro degli Esteri nel governo installato da Hanoi nel 1979 e in seguito primo ministro nel 1985. In più occasioni si è contrapposto alle Nazioni Unite, che avrebbero voluto far processare i membri sopravvissuti del regime di Pol Pot da un tribunale internazionale, asserendo che il compito sarebbe stato svolto in maniera migliore dai tribunali cambogiani.

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