Chi sarà il primo, in casa leghista, a trovare il coraggio di alzare la voce, chiedendo conto a Matteo Salvini del vistoso arretramento in Veneto alle elezioni amministrative, a tutto vantaggio di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni? Il confronto tra i due partiti è finito 10 a 5 a favore di FdI, a dimostrazione che in regione a dare garanzie al Carroccio è soprattutto il traino del governatore Luca Zaia. Quando non c’è lui di mezzo, la situazione si complica. Non a caso, il presidente della Regione, commentando i risultati, ha cercato di prevenire gli incendi, concentrandosi sulle divisioni della coalizione (in particolare a Verona) e non ha citato nemmeno il cambio di rapporti di forza con FdI. “I numeri ci dicono che dove il centrodestra corre unito si portano a casa i comuni, dove invece ci si presenta separati, peggio ancora se la separazione è anticipata da dibattiti spesso poco comprensibile ai cittadini, gli elettori giustamente puniscono il centrodestra. La visibilità politica dei dati va a chi rotture non ne crea”. Zaia ha così lanciato il monito pensando agli strappi di cui porta la responsabilità il vertice milanese della Lega: “Dobbiamo essere uniti, inclusivi, visto che la visione deve essere di una coalizione di centrodestra, però rispettosa di tutte quelle aree moderate che magari non si sentono rappresentate nel panorama politico italiano, ma possono trovare una casa comune”.

L’allarme nasce dal vistoso sorpasso di Giorgia Meloni. In 16 Comuni veneti Lega e FdI erano riconoscibili con il logo sulla scheda. In dieci di questi 16 Comuni ha prevalso FdI, la Lega cinque volte, in un caso il candidato era zaiano. E non si tratta di piccoli Comuni, ma di tutti i tre capoluoghi di provincia. A Verona Meloni ha incassato l’11,94 per cento (ma ci sono anche i consensi diretti alla lista di Federico Sboarina, candidato sindaco con tessera di FdI), Salvini soltanto il 6,60: 12.276 voti contro 6.786. Praticamente il doppio. E pensare che la Lega aveva investito molto, anche come sforzo pubblicitario, per valorizzare il voto alla lista, considerando che la base non aveva molto gradito l’acquiescenza al candidato di destra. Per misurare la crescita della Meloni basti poi pensare che nel 2017 era al 2,7 per cento mentre Salvini stava all’8,8.

A Padova lo stacco è forse ancora più netto, visto che cinque anni fa il candidato sindaco era Massimo Bitonci, leghista doc, molto vicino al segretario Salvini: allora la Lega aveva raccolto il 6,6 per cento, oltre a una dote del 24 per cento della lista Bitonci, mentre FdI era rimasto fermo al 2,2 per cento. Adesso cambia tutto: la destra all’8,27 per cento, la Lega al 7,35 per cento. Proprio a Padova la base ha contestato la scelta del candidato Francesco Peghin, voluta dall’ex sindaco Massimo Bitonci, considerato troppo estraneo al mondo leghista. A Belluno, dove il candidato di centrodestra ha vinto al primo turno, Fratelli d’Italia ha avuto il 10,46 per cento dei consensi, la Lega il 9,42 per cento. Non c’è dubbio che la Meloni abbia portato il partito ad essere il primo della coalizione, pur in elezioni amministrative e non politiche.

Poi ci sono gli altri Comuni in cui Fratelli d’Italia prevale: Feltre (8,54 contro 6,97 per cento) nel Bellunese; Abano Terme (12,82 contro 7,36 per cento) e Vigonza (13,86 contro 10,62 per cento) nel Padovano; Silea (16,90 contro 12,45 per cento) nel Trevigiano; Jesolo (12,61 contro 9,98 per cento), Mira (8,57 contro 7,75 per cento) e Mirano (13,65 contro 9,51 per cento) nel Veneziano.

La situazione si rovescia a favore della Lega in cinque comuni: Marcon (14,82 per la Lega, 12,88 per cento per FdI), Santa Maria di Sala (17,92 contro 7,71 per cento), Thiene (7,74 contro 4,15 per cento), Rosà (64,65 voti per la candidata leghista) e Cerea (48,88 per la Lega, 30,93 per Fratelli d’Italia). C’è poi un sedicesimo caso, il piccolo comune di Tarzo (Treviso) dove Gianangelo Bof ha avuto un plebiscito con l’88,2 per cento, ma si tratta di un candidato di Zaia, nella zona di appartenenza del governatore.

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