Al di là della crisi del grano da sbloccare, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan continua a ricercare appoggi robusti per le sue finanze in apnea, mentre gli accordi di Abramo potrebbero essere estesi all’India. Lo dimostra il possibile vertice del quadriumvirato israeliano, emiratino, americano e indiano durante la visita del presidente degli Stati Uniti Joe Biden in Israele che si terrà tra due settimane.

Inflazione record, la reazione di famiglie e imprese – Martedì per la lira turca è stata un’altra giornata complicata: dopo la doppia crisi valutaria del 2021 e del 2018 l’inflazione ormai fuori controllo ha determinato la perdita del 15% del suo valore rispetto al dollaro dall’inizio di maggio. La lira è stata così scambiata in ribasso del 2,3% a 17,15 per dollaro. Ciò sta rafforzando la consapevolezza degli investitori che è giunto il momento di liberarsi della valuta così deprezzata, su cui impatta l’inflazione record e l’incapacità del governo di arginare gli aumenti dei prezzi ormai incontrollati.

Il governo da un lato ha annunciato di voler ridurre i costi finanziari e stimolare la crescita economica, ma dall’altro non pratica politiche bancarie sostenibili, dal momento che il board della Banca centrale risponde agli umori presidenziali più che alle regole tecniche. Le ultime parole di Erdogan non aiutano: ha detto che le sue convinzioni religiose gli impongono di non poter approvare aumenti dei tassi di interesse, provocando una reazione stizzita da parte di imprese e famiglie che si trovano in oggettive difficoltà.

Turchia chiama India: India risponde? – Anche per questa ragione Ankara vuole allacciare più relazioni con Nuova Dehli perché ha capito che se dovesse nascere un Quad come quello tra Stati Uniti, Australia, Giappone e India in chiave anti-Cina, il Paese sul Bosforo ne resterebbe irrimediabilmente schiacciato. Ma il presidente indiano Modi non ha dimenticato l’appoggio turco al Pakistan quando Nuova Delhi ha deciso di revocare lo status speciale di Jammu e Kashmir nel 2019. Dodici mesi dopo Erdogan ha fatto se possibile di peggio, quando ha equiparato la lotta del Kashmir pakistano alla difesa della patria dell’Impero Ottomano nella campagna di Gallipoli contro Francia, Russia e Gran Bretagna in occasione del primo conflitto mondiale. Non proprio una mossa diplomatica che in India non è passata inosservata.

Tra l’altro l’India è un player al tavolo della partita per il grano, dal momento che due settimane fa ha annunciato il divieto di vendita di grano “per gestire la sicurezza alimentare complessiva del Paese”. Una mossa nazionalistica che sta portando ripercussioni, mentre sul fronte interno turco spicca il report delle Nazioni Unite sulla povertà nel Paese: quasi 15 milioni di cittadini hanno un regime alimentare insufficiente, secondo quanto riportato dalla Live Hunger Map del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite. Solo negli ultimi tre mesi, mezzo milione di turchi sono entrati nella spirale della malnutrizione, tra cui l’1,7% dei bambini di età inferiore ai 5 anni e ben il 6% dei bambini turchi offre di malnutrizione cronica. E il governo Erdogan come risponde? Si occupa di toponomastica e comunica a Ue e Nato che il nuovo nome del paese è Türkiye e non più Turchia.

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