Il rischio è che due dei tre giudici del Tribunale di Vibo Valentia, davanti al quale si sta celebrando il processo Rinascita-Scott, non possano giudicare il boss Luigi Mancuso. Lo ha stabilito la Cassazione. La prima sezione della Suprema Corte, infatti, ha accolto il ricorso presentato dagli avvocati Francesco Calabrese e Paride Scinica, difensori di Mancuso, e ha annullato con rinvio l’ordinanza emessa dalla Corte d’Appello di Catanzaro che aveva giudicato inammissibile lo scorso giugno la richiesta di ricusazione dei giudici Brigida Cavasino e Gilda Romano, proposta dai difensori del mammasantissima di Limbadi.

Sarà un nuovo collegio della Corte d’Appello, quindi, a decidere se è fondata la ricusazione dei due magistrati, i quali – secondo la difesa di Mancuso – avevano già giudicato, nel processo Nemea, alcuni coimputati di Mancuso. Nell’ordinanza di rigetto, “la stessa Corte d’Appello – è scritto nel ricorso in Cassazione degli avvocati Calabrese e Scinica – aveva sintetizzato la premessa della tesi difensiva in tal modo: ‘In quest’ultima sentenza (cioè quella del processo Nemea, ndr) depositata in data 5.3.2021, riguardante l’esistenza e l’operatività della cosca Soriano, il Tribunale di Vibo Valentia avrebbe valutato il contesto associativo ‘ndranghetistico comune a tutti gli originari coimputati del reato di cui all’articolo 416 bis, esteso all’intero territorio calabrese e in altre parti del territorio nazionale ed estero, retto dalla figura di vertice rappresentata da Luigi Mancuso”.

In sostanza, per i due legali del boss, il Tribunale di Vibo avrebbe valutato il contesto associativo ‘ndranghetistico in cui si muoveva la cosca Soriano di Filandari delineando, nelle motivazioni della sentenza, anche la figura dello stesso Luigi Mancuso e ritenendolo il capo del “Crimine” della provincia di Vibo Valentia, struttura di ‘ndrangheta riconosciuta dal “Crimine di Polsi”. “Sostenere che Luigi Mancuso è ‘il cosiddetto capo crimine, la figura di vertice nel vibonese’ – hanno scritto gli avvocati nel ricorso in Cassazione – equivale a una valutazione nel merito, per nulla superficiale tantomeno sommaria, che è esitata in un’anticipazione di giudizio, e dunque, di responsabilità penale dello stesso imputato”.

Ancora non ci sono le motivazioni della Suprema Corte ma, con ogni probabilità, gli ermellini hanno ritenuto valide le considerazioni della difesa invitando la Corte d’Appello di Catanzaro a spiegare, per la seconda volta, il perché i giudici Cavasino e Romano (la cui richiesta di autorizzazione all’astensione era stata rigettata dal Tribunale di Vibo), sono compatibili a celebrare il maxi-processo Rinascita-Scott dove il principale imputato è senza dubbio il boss Luigi Mancuso, detto lo “zio”. Il processo è nato dall’inchiesta, coordinata dalla Dda di Catanzaro, che ha portato nel dicembre 2019 a oltre 300 arresti. In manette erano finiti i vertici della ‘ndrangheta vibonese, e tra questi appunto Luigi Mancuso, ma anche i “colletti bianchi” al servizio della cosca, politici e imprenditori tra cui, per esempio, l’ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli, accusato di concorso esterno.

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