Il 2023 non è poi così lontano e la gran casa della finanza inizia a battere il tempo. Il primo avviso è della banca d’affari statunitense Goldman Sachs (di cui l’attuale presidente del Consiglio Mario Draghi è stato vicepresidente dal 2002 al 2005, ndr). La banca in una ricerca afferma: “Mentre il rialzo dei tassi di interesse si riverberano sul costo del debito italiano, i Btp rischiano di tornare ad essere i sorvegliati speciali dei mercati obbligazionari governativi a causa dei rischi legati agli esiti delle elezioni politiche del 2023 e agli impatti che potranno avere sugli investimenti e le riforme richieste dal Recovery Fund. In vista della stretta monetaria, rilevano gli analisti, “i rendimenti nell’Eurozona sono saliti in modo marcato, riportando la sostenibilità del debito dell’Europa meridionale di nuovo all’attenzione del mercato” anche se “il livello medio di maturazione del debito pubblico (dai 7 anni dell’Italia ai 21 della Grecia) contribuirà ad attenuare l’impatto di breve termine dei rendimenti crescenti sul costo del debito”.

Goldman Sachs vede però “potenziali” rischi nelle elezioni che nel 2023 interesseranno Italia, Spagna e Grecia. “Implicito in queste consultazioni è il rischio di discontinuità politica, che è particolarmente rilevante nell’Europa Meridionale in quanto la regione è il principale contenitore del Recovery Fund”, il cui “focus su investimenti e riforme, richiede un forte grado di continuità politica nel tempo”, spiegano. Se in Grecia il favore di cui gode il governo nei sondaggi rende meno probabile un’interruzione della “continuità politica”, più incerta è la situazione in Spagna e in Italia. Ma mentre a Madrid le due coalizioni rivali “condividono lo stesso impegno verso l’integrazione fiscale europea e, perciò l’implementazione del Recovery Fund”, diverso è il caso dell’Italia dove la “più scettica (FdI e Lega)” verso l’Europa “guida regolarmente i sondaggi”. “L’Italia resta quindi il Paese più a rischio di una rottura politica e l’avvicinarsi delle elezioni potrebbe diventare un catalizzatore per rinnovate preoccupazioni circa la sostenibilità del debito”. “Un cambiamento nella coalizione al governo è probabile che rafforzi l’incertezza sull’implementazione del Recovery Fund, il suo impatto sulla crescita e, infine, il suo supporto alla sostenibilità del debito”

Non è certo la prima volta che dai grandi nomi della finanza arrivano ingerenze in quelle che sono o dovrebbero essere normali dinamiche dei sistemi democratici. Ed è indubbio che negli ultimi decenni le decisioni di politica economica siano state progressivamente sottratte ai parlamenti e consegnate ai mercati. La pressione delle immense quantità di denaro che corrono sui mercati senza confini annichilisce qualsiasi margine decisionale della politica nazionale. Nel 2013 la statunitense Jp Morgan, la più “politica” tra le grandi banche, si distinse per un rapporto in cui si auspicava che in Italia e negli altri paesi europei venissero abolite le costituzioni antifasciste che troppo concedono a sindacati e lavoratori.

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