La crisi costituzionale e politica in Pakistan sta raggiungendo nelle ultime ore il suo apice più tragico. L’ex premier Imran Khan, che ha perso la sua maggioranza lo scorso 10 aprile cedendo la guida del paese al conservatore Shehbaz Sharif, ha lanciato un ultimatum avvertendo il governo pakistano di indire “nuove elezioni nei prossimi sei giorni” minacciando di “marciare sulla capitale Islamabad insieme a milioni di persone”. Khan ha infatti già annullato una marcia in programma per il 26 maggio di migliaia di sostenitori del suo partito, Pakistan Tehreek-e-Insaf (Pti), che si erano radunati davanti al Parlamento, provenienti da diverse parti del Paese, in particolare dalle province di Khyber Pakhtunkhwa e Punjab, disperdendo pacificamente la folla in attesa della risposta al suo ultimatum. Secondo Khan infatti, la caduta del suo esecutivo è stata il risultato di un “complotto che ha legami con l’estero”, accusando gli Stati Uniti di cospirare contro di lui e il suo partito in quanto non allineato alla posizione politica dell’Occidente sulla guerra in Ucraina e quindi giudicato troppo vicino alla Russia di Putin. Khan, già il giorno della sua sfiducia in Parlamento, aveva infatti chiesto elezioni anticipate a dimostrazione della sua legittimità a governare il Paese.

Quello di oggi è però solo l’epilogo di giornate di violenza e caos che hanno colpito l’intero Paese e durante le quali, secondo lo stesso Khan, cinque dei suoi sostenitori sono stati uccisi. Gli scontri sono inizialmente scoppiati a Lahore, quando la polizia in antisommossa ha usato gas lacrimogeni e ha respinto centinaia di manifestanti mentre cercavano di superare un ponte bloccato vicino alla città per salire a bordo degli autobus diretti a Islamabad. Imran Khan, secondo quanto riporta il quotidiano online Dawn, accusa quindi il governo di “portare la nazione verso l’anarchia”. Amjad Malik, un funzionario del ministero degli Interni, secondo quanto riporta Reuters, spiega invece che nessuno è rimasto gravemente ferito negli scontri. Il ministro dell’Interno Rana Sanaullah ha affermato che la polizia ha effettuato un totale di 4.417 attacchi alle case, agli uffici e alle manifestazioni di protesta dei sostenitori di Khan e ha arrestato quasi 1.700 persone. Di questi, 250 sono stati successivamente liberati, spiegando che “a nessuno è stato impedito di esercitare il proprio diritto costituzionale e legale di tenere una manifestazione o prendere parte a politiche democratiche, ma non possiamo permettere a nessuno di seminare violenza e caos”.

La Corte Suprema del Pakistan ha nel frattempo chiesto al governo e al partito di Khan di negoziare per confrontarsi in un pacifico incontro pubblico a Islamabad. Il primo ministro Shehbaz Sharif non si dimostra aperto al confronto e intanto incolpa Khan della crisi economica che il Paese sta attraversando, spiegando che l’ex premier ha perso il potere in parte a causa della sua incapacità di correggere la terribile situazione economica del Pakistan, compreso il suo crescente debito, la contrazione delle riserve di valuta estera e l’impennata dell’inflazione. “Ci hai consegnato un’economia in crisi e ora stai pianificando sit-in e proteste”, ha detto Sharif a Islamabad, secondo quanto riferisce Al Jazeera. “Stiamo cercando di dare energia a questa economia debole”, ha aggiunto il premier.

Il caos politico ha sicuramente aggravato la volatilità economica nel paese ma Sharif, che ha sostituito Khan il mese scorso, non ha ancora compiuto passi coraggiosi per riportare l’economia in carreggiata. Mercoledì il Fondo monetario internazionale ha infatti bloccato un pacchetto di 6 miliardi di dollari al governo pakistano. Dopo i colloqui, il Fmi ha esortato il Pakistan a rimuovere i sussidi su carburante ed energia che erano stati approvati dal governo di Khan a febbraio, costringendo l’ente internazionale a congelare una tranche cruciale di circa 1 miliardo di dollari.

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