Si avvicina il 12 giugno, giorno in cui si voterà sui 5 referendum abrogativi relativi alla giustizia. Su tre dei quesiti referendari promossi dalla Lega e dai Radicali ha espresso la sua posizione Stefano Musolino, sostituto procuratore della Repubblica a Reggio Calabria e segretario di Magistratura Democratica.

Ospite del Tg Plus di Cusano Italia Tv, il magistrato smonta, in primis, il quesito sulla custodia cautelare, misura di cui, a detta dei promotori del referendum, si fa abuso in Italia: “Le statistiche non dicono affatto questo. E, in ogni caso, se questo fosse il problema, un quesito siffatto non ridurrebbe l’uso della carcerazione preventiva, ma la anestetizzerebbe in maniera totale. Purtroppo la cronaca è piena di femminicidi in questo periodo e di vari crimini frutto di condotte seriali, che – continua – non potrebbero essere più contenuti con una custodia cautelare, se venisse eliminato il pericolo di reiterazione del reato. Se allora c’è un’esigenza di questo tipo, non può essere curata attraverso un referendum che è un istituto tranciante. Credo che eliminare completamente il reato di reiterazione metta seriamente a rischio la sicurezza di tantissime persone. Spero che il Comitato del Sì dica una cosa ragionevole a riguardo”.

Critico il giudizio di Musolino anche sul quesito referendario relativo alla separazione delle carriere, la cui ratio, secondo i promotori, sarebbe quella di contrastare il passaggio del magistrato dalle funzioni giudicanti a quelle inquirenti, “perché sarebbe capitato anche nel corso dello stesso processo”. “Questa è una sciocchezza – commenta il magistrato – Non esiste che una parte passi da pm a giudice nello stesso processo. Raccontare un’altra versione dei fatti per acquisire consenso è proprio folle. In più, quello che in questo quesito non si considera è che un pm inserito nell’ordinamento giudiziario garantisce meglio i diritti di tutti a partire dalle indagini preliminari. L’obiettivo del pm non è sconfiggere l’indagato, ma fare una indagine il più completa possibile per arrivare a una sentenza che tenga conto di tutti gli elementi raccolti intorno a quella fattispecie di reato. Togliendo il pm dalla giurisdizione, invece, lo si schiaccia nella prospettiva della polizia giudiziaria, nel senso che il pm si trasforma in una sorta di avvocato della polizia giudiziaria, con una drastica riduzione dei diritti dei cittadini e delle parti coinvolte nel processo”.

Anche il quesito sulla legge Severino trova la contrarietà del magistrato, che con un sorriso rassegnato osserva: “Effettivamente abbiamo un problema reale che è stato creato dalla politica: il Parlamento, in un momento in cui si è sentito particolarmente debole, ha pensato di affidare alla giustizia il compito di stabilire chi fosse degno e indegno di fare politica. La legge Severino obiettivamente, consentendo a una sentenza di primo grado di poter determinare le sorti di un amministratore pubblico, ha in sé un vulnus serio ai diritti delle persone che sono state elette, perché una eventuale inidoneità dovrebbe essere valutata soltanto dopo che la sentenza è passata in giudicato. Il punto – sottolinea- è che l’intervento referendario vuole abrogare non solo questo, che io riconosco come problema, ma tutta la disciplina e quindi anche quella che regola l’ineleggibilità di persone condannate per reati gravissimi: terrorismo, mafia, estorsione aggravata, corruzione, concussione. E questo vale per tutti, cioè non solo per quelli condannati in primo grado ma addirittura per i condannati con sentenza passata in giudicato per gravissimi reati”.
Musolini ribadisce: “Ancora una volta l’istituto referendario non si mostra idoneo a distinguere con la giusta discrezione e attenzione quello che va tolto perché non va e quello che va mantenuto perché è efficiente. Con questi quesiti referendari si mira a togliere tutto e, quindi, ad esempio, a Reggio Calabria, dove vivo, potremmo avere come candidato sindaco un boss della ‘ndrangheta già condannato per via definitiva. Non mi sembra un gran risultato“.

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