“E’ imperdonabile” aver tolto la scorta a Marco Biagi, nonostante non fossero ancora stati identificati e catturati gli assassini di Massimo D’Antona, ucciso tre anni prima. A dirlo, è stata la vedova del giuslavorista ucciso dalle Brigate rosse, Marina Orlandi, alla Cerimonia del Giorno della memoria delle vittime del terrorismo. Orlandi ha aggiunto a braccio questo commento, non presente nel discorso che aveva scritto.

Marina Orlandi ha ricordato come il marito fu “scelto come bersaglio” per il ruolo di Consigliere del Ministro del Lavoro – che all’epoca era Roberto Maroni – e del Presidente della Commissione Europea – che era Romano Prodi – e come membro della Commissione che studiava la riforma del mercato del lavoro. Incarichi che portarono a una “svolta”: “I Servizi lo segnalarono come persona ad alto rischio. Gli venne assegnata una scorta, che sciaguratamente gli fu tolta nel 2001. Era il coordinatore del Libro Bianco, da discutere con le parti sociali, per migliorare il mercato del lavoro. L’accesissimo dibattito aveva reso rovente il clima”.

Biagi, ha proseguito la vedova, “si riteneva un servitore Stato e non di una parte politica, voleva migliorare con i fatti le condizioni di lavoro dei più deboli e non con il fondamentalismo che anche oggi è una zavorra. Cercava la mediazione e per questo ne è rimasto vittima”. Marina Orlandi ha ricordato che per l’acceso dibattito sul Libro Bianco Biagi “fu isolato anche da parte di alcuni colleghi” e fu vittima di ripetute minacce anonime, tanto da spingerlo a chiedere nuovamente la scorta. “La risposta fu che non esisteva il pericolo delle Br, questa scelta è imperdonabile – ha aggiunto Orlandi abbassando il foglio da cui leggeva l’intervento -, non lo avevo scritto ma è imperdonabile“. Parole che hanno provocato un intenso applauso dei presenti nell’aula della Camera. “La sera prima di essere ucciso – ha quindi raccontato Orlandi – mi disse ‘che cosa devo fare? Fermarmi ora perché sono solo, ora che sono al posto giusto per migliorare le condizioni dei più deboli, ora che posso limitare la vergogna del lavoro nero? Si rispose da solo. La sera dopo rimase riverso sotto il portico, la borsa e gli appunti per terra”.

Promotore della riforma del lavoro emanata dal governo di Silvio Berlusconi, Biagi fu ucciso il 19 marzo del 2002 da un commando delle Brigate Rosse davanti il portone di casa sua, a Bologna. Per la questione della scorta a Biagi finirono sotto inchiesta l’allora ministro dell’Interno, Claudio Scajola, e Gianni De Gennaro, che invece era il capo della polizia. Erano indagati per cooperazione colposa in omidicido colposo: reato che venne prescritto dal 2009, sette anni e mezzo dopo l’assassinio di Biagi. La prescrizione portà alla chiusura anche dell’inchiesta bis, aperta nel 2015 per capire il motivo che aveva portato alla revoca della protezione del giuslavorista. La vicenda Biagi portò anche alle dimissioni di Scajola dal Viminale. Era il 29 giugno del 2002, poco più di due mesi dopo l’omicidio, quando – parlando da Cipro – Scajola pronunciò la nota frase riportata dai quotidiani: “Marco Biagi era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza”.

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