Nel 2021 il mondo ha perso 11,1 milioni di ettari di foreste tropicali. Si tratta di una superficie equivalente a quella che coprono tutti i boschi in Italia. Lo ha rivelato l’indagine annuale del World Resources Institute, la Global Forest Review, considerata una delle fonti più attendibili sulla deforestazione a livello globale. Sono disastrosi anche gli effetti sulla capacità di assorbire le emissioni di Co2 del pianeta: i boschi scomparsi riuscivano a stoccare 2,5 Gt di carbonio dall’atmosfera, una quantità pari a quelle prodotto ogni anno dall’India. I dati arrivano all’indomani della promessa della Cop 26 di Glasgow – la conferenza sul clima dell’Onu – di azzerare la deforestazione entro il 2030. Si tratta solo dell’ultimo degli accordi in materia, ma era stato salutato come uno dei maggiori risultati del summit mondiale. Sarà anche di quello che riceverà i maggiori finanziamenti (con 12 miliardi stanziati dagli Stati e altri 7 da società private). La strada per rispettarlo però sembra in salita.

Il 96% delle foreste perdute si trovava in zone tropicali, secondo il Global Forest Watch. Un terzo di queste (3,75 milioni di ettari) erano foreste primarie, fondamentali sia per la biodiversità sia per assorbire le emissioni. Tra i paesi meno virtuosi Brasile, Repubblica Democratica del Congo e Bolivia, gli stessi che occupavano il podio nel 2020. Solo nello Stato guidato da Jair Bolsonaro sono stati distrutti 1 milione e mezzo di ettari boschivi in 12 mesi. Tanto che il presidente è stato accusato, davanti alla Corte penale internazionale, di crimini contro l’umanità per le sue responsabilità nella deforestazione dell’Amazzonia e per “azioni direttamente collegate agli impatti negativi del cambiamento climatico in tutto il mondo”. L’ecosistema del “Polmone verde del mondo”, dopo i disastrosi incendi degli ultimi anni, rischia di trasformarsi in modo irreversibile in una savana. Questo potrebbe portare a conseguenze irreversibili per la biodiversità e per le popolazioni indigene che abitano le aree limitrofe della foresta.

La Bolivia invece ha il primato per la minor presenza di alberi, in rapporto all’estensione del suo territorio, con lo 0,7 %. Seguono il Laos (1%) e la Cambogia (1,5%). Sullo Stato sudamericano pesano gli effetti dell’espansione agricola e le politiche poco efficaci per fermare gli incendi nel distretto di Santa Cruz. Arriva invece speranza dal Congo che, nonostante una performance negativa (con 500 mila ettari di foreste primarie scomparse), ha appena approvato una legge che permette agli Indigeni di impedire attività commerciali che minacciano i loro boschi.

Non tutte le foreste tropicali hanno però subito un tracollo nel 2021. Per il quinto anno consecutivo dall’Indonesia – tra i firmatari dell’accordo della Cop 26 – arrivano buone notizie. Un tempo tra i meno virtuosi, il Paese ha ridotto la sua perdita di alberi del 21% rispetto al 2020, grazie a una rigida politica sull’olio di palma. La deforestazione legata alle coltivazioni della sua pianta d’origine ha toccato infatti il minimo storico degli ultimi vent’anni. La guerra in Ucraina potrebbe però compromettere gli sforzi dei governi in questo senso: la carenza dell’olio di girasole prodotto nel Paese infatti sta causando una corsa globale agli olii alternativi. Il costo dell’olio di palma indonesiano ha fatto quindi segnare un + 6,3% nell’ultimo periodo, raggiungendo il prezzo più alto degli ultimi quarant’anni. Malesia, Guyana e Gabon – che negli ultimi due decenni avevano perso l’1% delle loro foreste primarie – sono riusciti invece a invertire la tendenza. Lo Stato africano, in particolare, è diventato il primo a ricevere finanziamenti per la gestione sostenibile dei suoi boschi, grazie a una partnership con la Norvegia.

Il Global Forest Review ha analizzato la situazione anche delle foreste boreali. Negli ultimi due anni il 29% di queste è andato perduto a causa della crisi climatica. Hanno pesato gli effetti degli incendi del 2020 negli Stati Uniti e in Siberia. Nella sola Russia poi, nel 2021, 6,5 milioni di ettari sono stati distrutti nel 2021. Si tratta del dato peggiore da quando vengono eseguite le rilevazioni. Anche se i roghi – ricorda il World Resources Institute – ci sono sempre stati nella storia degli ecosistemi climatici, i cambiamenti degli ultimi decenni e l’aumento delle temperature globali li stanno rendendo più estesi, aggressivi e difficili da contrastare.

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