“La commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia ha svolto in meno di un anno sopralluoghi e visite ispettive in molte realtà del Paese. E sono 3 i punti fermi che sono emersi. Il primo punto è che il Pil dal 3% al 6% è divorato dagli infortuni sul lavoro. La seconda questione riguarda il ‘capolarato digitale’, che non arruola più i braccianti sui campi, ma i lavoratori della gig economy. La terza questione concerne il fenomeno delle ‘cooperative spurie’, che impongono il ‘caporalato urbano’“. Lo dichiara il senatore del Pd Gianclaudio Bressa, presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati, esponendo a Palazzo Madama i dati della relazione intermedia sull’attività svolta dalla commissione dal maggio 2021 a oggi.

Bressa riassume i punti fondamentali del documento di 408 pagine prodotto dalla commissione, introducendo il suo intervento con una premessa doverosa: “Morire per lavoro è una tragedia umana e morale immensa e indescrivibile. Non dobbiamo mai dimenticarlo”.
Poi si sofferma sui dati: “Abbiamo uno studio del 2007 realizzato dall’Inail, secondo cui il danno economico causato da infortuni e dalle malattie professionali era pari quasi a 48 miliardi, che allora era il 3% del Pil. Ma importanti studi internazionali e anche un approfondimento fatto da nostri consulenti in collaborazione con l’Università Bocconi hanno fatto emergere che l’incidenza stimata dei costi totali sul Pil si aggira attorno a 6%. Ci sono Paesi messi peggio di noi, come la Polonia, che è oltre il 10% – continua – ma voi capite che cosa significhi il 6% del Pil come danno economico per l’insicurezza e lo sfruttamento nei luoghi di lavoro. È quindi importante individuare un indicatore economico che consenta di valutare i danni causati dall’inosservanza delle norme. Questo è il compito principale che abbiamo, oltre a far capire quanto l’investimento sulla sicurezza sul lavoro risulti essere estremamente produttivo”.

Bressa sottolinea: “Sia chiaro: il fenomeno dello sfruttamento sul lavoro tocca tutta l’Italia, nessuna regione risulta esente. Riguardo al capolarato digitale, dovremo cominciare a parlare di nuovi ‘diritti digitali’ nel lavoro. Il pericolo più grave che rischiamo di sottovalutare è che gli algoritmi e gli strumenti di intelligenza artificiale, se non sono trasparenti, riconoscibili e gestibili, diventano sistemi senza controllo. E questo rappresenta il vero salto nel buio in questa nuova dimensione del lavoro. La spasmodica ricerca del risparmio nei costi il più delle volte è attuata a svantaggio della sicurezza sul lavoro e uno dei mezzi più utilizzati nel territorio nazionale – spiega – è la cooperativa spuria, cioè di una cooperativa che teoricamente nasce per tutelare gli interessi dei lavoratori coinvolti, ma che in realtà sortisce esattamente l’effetto opposto, perché nasce e muore giusto il tempo della durata di un appalto o di un subappalto. La maggior parte di queste cooperative usa come forza lavoro i migranti. E il settore della logistica è quello che è stato più fortemente penalizzato dalle cooperative spurie. C’è evidentemente un sistema di impresa che spesso, soprattutto in alcune imprese medie e piccole, non presta la dovuta attenzione agli obblighi della sicurezza sul lavoro”.

Il politico dem aggiunge: “Non si muore solo perché si cade da un’impalcatura, ma anche per una cattiva organizzazione del lavoro. Insicurezza e sfruttamento sembrano essere due costanti insopprimibili del mondo del lavoro. La commissione d’inchiesta si impegnerà per cercare di spezzare tutto questo attraverso strumenti precisi di modifica nella normativa. Nel contrasto alle cooperative spurie servono una diversa qualificazione della fattispecie penale, l’inasprimento delle sanzioni e la possibilità di utilizzare intercettazioni telefoniche e ambientali. Durante una nostra ispezione nel Lazio – rivela – abbiamo incrociato una cooperativa che aveva oltre 100 soci e che, nell’arco di 10 mesi, aveva un’evasione fiscale contributiva di circa 700mila euro. Voi capite che comminare una sanzione di 50mila euro a chi in 10 mesi ha frodato lo Stato, l’Inail, l’Inps per 700mila euro, è un condono, non una sanzione. Quindi, quando si parla di inasprimento delle sanzioni, bisogna trovare una modalità che rappresenti davvero una sanzione, senza che, però, questi significhi la chiusura dell’azienda perché significherebbe mettere per strada i lavoratori”.

Bressa elenca poi le altre numerose proposte della commissione, come l’opportunità di prevedere “una fattispecie di reato autonoma per chi si avvale di lavoratori in condizioni di sfruttamento” e “una nuova fattispecie penale per contrastare l’organizzazione dell’attività lavorativa mediante violenza o minaccia“.
E assicura: “Nel giro di un mese o un mese e mezzo, vorremmo trasformare tutte queste proposte in vere e proprie norme, che possano essere poi affidate alla commissione Lavoro del Senato e successivamente essere trasformate in testi normativi applicabili sul territorio nazionale. Abbiamo tempi molto stretti e vogliamo che queste cose, frutto del lavoro di 10 mesi, possano trovare una conclusione che non siano solo una relazione, ma che siano atti normativi in grado di cambiare l’ordinamento del nostro Paese”.

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