di Giorgio Boratto

La guerra continua: dovrebbero essere la filosofia e la teologia a produrre pensieri forti sulla guerra; basti pensare che già Eraclito, agli albori del pensiero occidentale, disse che “il conflitto è padre di tutte le cose”, ma è la psicologia a farci comprendere l’origine della guerra. Così James Hillman – psicologo di formazione junghiana morto nel 2011 – con il libro Un terribile amore per la guerra affronta questo tema per comprenderlo ed immaginarlo, per farlo cessare. Il libro è un dettagliato excursus sulla guerra ed i suoi meccanismi di attuazione.

Scrive Hillman: “Se non entriamo dentro questo amore per la guerra, non riusciremo mai a prevenirla né a parlare in modo sensato di pace e disarmo. Se non spingiamo l’immaginazione dentro lo stato marziale dell’anima, non potremo comprenderne la forza di attrazione. In altre parole, occorre ‘andare alla guerra’, e questo libro vuole essere una chiamata alle armi per la nostra mente. E non andremo alla guerra ‘in nome della pace’, come tanto spesso una retorica ipocrita proclama, ci andremo in nome della guerra: per comprendere la follia del suo amore”.

Fu per primo Giambattista Vico a interessarsi dei motivi di fondo del diritto, della lingua, della letteratura: dei temi ricorrenti, le strutture e le forze eterne, ubiquitarie, emotive e ineludibili che agiscono in ogni vita umana, in ogni società umana, alle quali dobbiamo inchinarci, insomma sono le forze che possiamo definire archetipiche. Se scaviamo in profondità scopriremo che ci sono delle forze archetipe che riportano alla luce i temi mitici che attraversano i tempi e sono senza tempo. E la guerra è una di tali forze. La guerra è un tema senza tempo dell’esistenza umana che riceve al pari di altre cose il significato dai miti; è qui la grandezza della cultura greca: riconoscere la tragedia.

Trattiamo la guerra a prescindere dai miti e degli dèi, come se miti e dèi fossero morti e sepolti; eppure troviamo la tragedia e quello strana unione di amore e guerra anche leggendo i quotidiani di questi giorni di guerra in Ucraina: la guerra incomprensibile e inimmaginabile viene trasportata in una condizione mitica con gli dèi ben vivi e reali. Marte e Afrodite sono sempre fra noi.

C’è da pensare: la guerra è davvero anormale? A me sembra che non sia così. Se guardiamo bene dopo la seconda guerra mondiale e dopo i grandi conflitti che l’hanno seguita. Si parla quindi di normalità della guerra presupponendo un altro fattore: la sua ‘accettabilità’. Le guerre non si combatterebbero se non esistesse chi è disposto a contribuire alla loro realizzazione. Reclute, schiavi, militari di carriera: ci sono sempre masse pronte a rispondere alla chiamata alle armi, ad arruolarsi, a combattere.

Ma perché la guerra è normale? Lo è perché è radicata nella natura umana o perché è essenziale per le società? E’ fondamentalmente espressione dell’aggressività e dell’istinto di autoconservazione degli esseri umani o è un prolungamento del comportamento del branco? In entrambi i casi però tutto riporta alla necessità di avere l’immagine di un nemico. La guerra, scrive Hobbes, è una situazione in cui ogni uomo è nemico a ogni altro uomo. Senza nemici è difficile fare la guerra.

James Hillman, come indagatore psicoanalista, ci racconta che la guerra non è inumana ma umana e gli appartiene come la razionalità e il pensiero scientifico. Come si può dire che la guerra ci fa scendere a livello di animali se a farla sono solo gli uomini? James Hillman è stato un pacifista e racconta che la guerra si può fermarla solo facendo ridiventare un mito il suo culto. Attraverso il riconoscimento dei miti come normazione dell’irragionevole, si può trovare nell’identificazione la loro virtù terapeutica.

Così penetrando i segreti della guerra potremmo scoprire altri modi per soddisfare le sue richieste; altri modi di andare in guerra senza farla.

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