“Siamo emozionati. Partire per l’Italia e disputare una partita a Milano in uno stadio storico come l’Arena Civica, dove ha giocato soltanto una squadra inglese, il Birmingham City nel 1956 in Coppa delle Fiere contro l’Inter, sarà bellissimo”. È felice per questa trasferta Adrian Seddon, pubblicitario nel ramo sportivo ma soprattutto presidente del board dello United of Manchester. L’occasione per questa trasferta in Italia è la partita che il club disputerà contro il Brera Calcio il prossimo 6 aprile per il Fenix Trophy, torneo europeo riconosciuto dall’Uefa a cui partecipano 8 squadre dilettantistiche con storie particolari. Quella dello United of Manchester è una di queste e parte dal suo nome, che riecheggia quello dei più celebri Red Devils. Una scelta non casuale: la fondazione del club nel 2005 è avvenuta in concomitanza con l’acquisto del Manchester United da parte della famiglia americana dei Glazer. Così un gruppo di tifosi ha deciso di mettersi in proprio, “dando vita a un nuovo club basato su princìpi ben diversi da quelli che oggi governano il calcio, ormai legato soltanto al business e che ha scordato il legame con il proprio territorio”, racconta Seddon a ilfattoquotidiano.it.

LA STRUTTURA DEL CLUB
Cinquemila soci, uno stadio di proprietà e una sezione maschile e femminile oltre ovviamente all’Academy, dove si allenano tre squadre giovanili. Lo United of Manchester ne ha percorsa di strada da quella primavera di diciassette anni fa, quando all’Apollo Theatre un gruppo di tifosi si riunì per decidere il da farsi. “A maggio ci furono i primi incontri e già a luglio oltre 4mila persone avevano donato più di 100mila sterline. Fu davvero incredibile”, evidenzia Seddon. Una scelta di cuore che non fu facile, soprattutto dopo le critiche ricevute da Sir Alex Ferguson che evidenziò “come questi tifosi pensino soltanto a loro stessi, più che al bene del club”. “Noi eravamo tutti abbonati all’Old Trafford, seguivamo con passione i Red Devils. Tuttavia, il calcio già allora mostrava quello che poi sarebbe diventato oggi, dove comandano soltanto le televisioni e i supporter non vengono più considerati”, dichiara Seddon. Per questo le regole dello United of Manchester sono chiare: “Noi del board prepariamo le carte, ma a prendere le decisioni sono i soci. Tifosi come gli altri che però versano una piccola quota di partecipazione e hanno così diritto a scegliere il colore delle nuove maglie, il prezzo dei biglietti per la stagione o chi eleggere nel consiglio, che resta in carica per due anni. Sono ammessi gli sponsor, ma non sulla maglia: preferiamo evitare qualunque tipo di commercialismo“. Cuore del progetto dei Reds di Manchester il Broadhurst Park nel sobborgo di Moston, uno stadio da 4400 posti inaugurato nel 2015 con un amichevole contro il Benfica B. Un vero e proprio gioiello per una società la cui squadra maschile milita nella Northern Premier League, la settima serie del calcio inglese equivalente alla Promozione italiana, e quella femminile in quarta serie, insieme a club più noti come Newcastle e Leeds. “Con il tempo ci siamo organizzati, abbiamo accanto allo stadio le strutture giovanili dell’Academy, in cui si allenano i ragazzi, e i campi di allenamento. Ovviamente sia la squadra maschile che quella femminile giocano nel nostro stadio, è doveroso dare le stesse opportunità a uomini e donne e sfruttare anche l’investimento che è stato fatto”.

AMBIZIONI E FUTURO DEL CALCIO
Il Broadhurst Park è allo stesso tempo punto di forza ma anche di debolezza. “Ci piacerebbe salire di livello, come abbiamo già fatto in passato, ma serve essere sostenibili, considerando che abbiamo speso 6,5 milioni di sterline per lo stadio, una cifra che si ripagherà in 15 anni. L’anno prossimo proveremo comunque a puntare alla promozione, quest’anno purtroppo siamo troppo indietro. Il nostro sogno è essere un giorno dei professionisti“. Una storia diversa da quella del Salford United, squadra mancuniana acquisita da una cordata formata dall’imprenditore singaporiano Peter Lim, attuale proprietario del Valencia, e dalla “Classe del ‘92”, la generazione dorata dei Red Devils di cui fanno parte ex giocatori del calibro di David Beckham, Paul Scholes, i fratelli Neville, Ryan Giggs e Nicky Butt. “Ecco, il loro esempio dice molto di cosa è il calcio oggi: sono arrivati e hanno cambiato colori, stemma e maglie. Sono il classico esempio di coloro che hanno i soldi e arrivano a comandare in un club senza ascoltare i tifosi. Lo so perché per un paio di anni, prima che salissero fino alla League Two, la quarta serie, abbiamo militato nello stesso campionato e ho avuto modo di chiedere in giro cosa si pensasse di questo cambiamento. Non sembravano felici”, sostiene Seddon. Una svolta che riguarda un po’ tutto il mondo del calcio. “Un tempo il calcio inglese era tutto concentrato il sabato alle 15, oggi ci sono partite a tutte le ore e in tutti i giorni della settimana. I diritti televisivi comandano e il calcio sta sempre più diventando una cosa che non si possono permettere in molti: come può una famiglia con due figli della working class di Manchester permettersi di pagare centinaia di sterline per un biglietto allo stadio ogni settimana?”, si chiede Seddon. E lo stesso discorso vale per la Superlega. “Ricordo bene l’attesa per le partite importanti, come quelle contro il Barcellona, per esempio, o la delusione nel non qualificarsi per le competizioni più importanti. Così non ci sarebbe più gusto: una simile competizione, con grandi partite ogni settimana perderebbe il suo fascino. Serve la fatica per raggiungere il successo, altrimenti non vale”.

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