Non solo immagini di “orrori indicibili“, come li ha definiti l’Unione europea. Ma anche decine di testimonianze dirette di esecuzioni sommarie, di omicidi di civili, di cadaveri abbandonati nei cortili delle case e per le strade. E di corpi ritrovati con le mani legate dietro la schiena e i segni di colpi netti alla nuca. Dopo il ritiro delle truppe russe dalla città di Bucha, continuano a emergere i racconti di testimoni sul posto che riferiscono di atrocità commesse dall’esercito russo. Le denunce dell’esercito ucraino sono confermate dalle testimonianze dei civili e dai giornalisti internazionali che lavorano per alcune delle più importanti testate e sono presenti sul posto. Tra i primi a riferire i crimini di guerra c’è stata l’organizzazione internazionale Human Rights Watch, che nelle scorse ore ha raccolto le storie di alcuni sopravvissuti. Su Repubblica è stato pubblicato un lungo reportage del fotoreporter internazionale Santi Palacios, arrivato nella città poco dopo il ritiro di Mosca, che racconta con grande precisione quello che ha visto. Il collega dell’Economist Oliver Carrol, su Twitter, smentisce chi accusa l’esercito ucraino: “Non può essere vero a causa dell’odore dei corpi in decomposizione. Semplicemente non si ottiene un odore così forte dopo pochi giorni a temperature molto fredde”.

Intanto fonti dei media ucraini hanno diffuso stamattina informazioni circa l’identità del presunto comandante delle truppe russe a Bucha. Secondo gli attivisti di InformNapalm l’unità militare 51460, 64a brigata di artiglieria motorizzata, sarebbe stata comandata dal Tenente Colonnello Omurbekov Asanbekovich. A Bucha sono ormai centinaia le vittime scoperte in quello che è al momento il massacro più grave dall’invasione russa del 24 febbraio scorso. Intanto oggi l’esercito ucraino ha fatto sapere di aver trovato una camera di tortura usata dai soldati russi con i cadaveri di cinque civili piegati in avanti e con le mani legate dietro la schiena. Le truppe russe avrebbero utilizzato il seminterrato di un sanatorio locale per bambini chiamato “Radiant”.

Il racconto del fotoreporter spagnolo Santi Palacios – Alcune delle foto che arrivano in queste ore e che sono state scattate subito dopo la ritirata dei russi dalla città, sono di Santi Palacios, fotoreporter spagnolo che ha vinto il World Press Photo e collabora con prestigiose testate internazionali (dal New York Times alla Cnn). In un lungo articolo su Repubblica, racconta quello che ha visto. “L’inferno inizia alle porte di Bucha”, scrive. “Estraggo la macchina per scattare una foto, nell’inquadratura entrano quattro morti, ma sono molti di più e sono ovunque. Alcuni hanno le mani legate dietro la schiena. Altri hanno un foro netto in testa o nel petto. La maggior parte dei cadaveri sono intatti e non mutilati dalle esplosioni come si osserva su altri fronti del conflitto. L’impressione chiara è che la loro morte sia il risultato di un’esecuzione sommaria“. Palacios racconta cosa ha visto all’arrivo nella città liberata e le testimonianze che ha raccolto. “Le persone che hanno vissuto durante l’occupazione per settimane assicurano di aver visto l’inferno. Nessuno sa dire con sicurezza da quanto tempo i corpi privi di vita giacciano per strada, anche se i militari che incontriamo indicano il 26 di marzo come data delle esecuzioni”. Palacios riporta poi di essere stato accompagnato in un cortile, dove ci sono otto cadaveri e “di almeno uno posso dire con certezza che aveva le mani legate dietro la schiena”. Per strada altri corpi e “per la maggior parte persone morte uccise da un colpo netto”. Infine, conclude Palacios, vicino alla ferrovia ha visto un “gruppo di cinque cadaveri bruciati” e, secondo i vicini, sarebbero di “militari russi”.

Il racconto dell’inviato dell’Economist Oliver Carrol: “Ecco perché non possono essere stati gli ucraini” Oliver Carrol, tra i primi giornalisti ad arrivare a Bucha dopo la ritirata dei russi e inviato dell’Economist, ha risposto su Twitter a chi invece sostiene che a uccidere i civili sarebbe stato l’esercito ucraino dopo la liberazione. “Noto che la Russia ora suggerisce che gli ucraini hanno fatto da soli le esecuzioni di Bucha dopo il ritiro russo”, ha scritto la mattina del 3 aprile. “C’è una ragione per cui questo non può essere vero. L’odore dei corpi in decomposizione. Semplicemente non si ottiene un odore così forte dopo pochi giorni a temperature molto fredde (vicino o sotto lo zero)”. Carrol ha anche affermato di “avere visto i segni delle esecuzioni sommarie” nei cadaveri trovati in città. E ha diffuso alcuni scatti di una fossa comune che però sarebbe stata usata perché “le truppe russe occupavano l’area del cimitero”. Carrol ha anche riferito di aver visto un cadavere che probabilmente rientrava dopo aver fatto la spesa: “Entrando a Bucha si vede disteso sul ciglio della strada il cadavere di un uomo che ha fatto la spesa nel momento sbagliato. Succo di frutta, tè, bicchieri di vino, yogurt, piselli verdi: ora tutto sparso sul ciglio della strada. Di fronte c’è un messaggio scritto sulla paletta di un jcb. “Benvenuti all’inferno”.

Le testimonianze di un medico legale raccolte dal New York Times – Il reportage del New York Times del 3 aprile riporta la testimonianza di Antonina Pomazanko che racconta di come le truppe russe hanno ucciso la figlia 56enne. “I proiettili hanno squarciato il cancello di legno e la recinzione intorno alla sua casa, uccidendola all’istante. Il suo corpo giaceva ancora nel giardino domenica, dove la madre 76enne l’aveva coperta come meglio poteva con teli di plastica e assi di legno”. E, scrivono Carlotta Gal e Andrew E. Kramer, “domenica, gli ucraini stavano ancora trovando i morti nei cortili e sulle strade tra le prove crescenti che i civili erano stati uccisi di proposito e indiscriminatamente”. Il New York Times intervista anche Serhiy Kaplishny, un medico legale “che ha lavorato lì dal 24 febbraio, il giorno dell’invasione, fino al 10 marzo, quando è fuggito. È tornato a Bucha sabato. Ha detto che, finora, la sua squadra ha raccolto più di 100 corpi durante e dopo i combattimenti e l’occupazione russa”. Kaplishny ha detto poi “di aver raccolto circa altri 30 corpi in un furgone bianco. Tredici di loro erano uomini le cui mani erano state legate e che erano stati colpiti da distanza ravvicinata alla testa”.

L’inviato di Rainews Ilario Piagnerelli a Bucha – Una delle foto più drammatiche circolate nelle ultime ore, ritrae un uomo ucciso a fianco della sua bicicletta. L’inviato di Rainews Ilario Piagnerelli , presente sul posto, ha scattato la foto e scritto su Twitter: “Il corpo di un anziano accanto a una bicicletta. Il cranio sfondato. Qualcuno ha preso la mira”.

L’inviato di El Pais pubblica le foto dei cellulari distrutti – Secondo quanto riferito da Luis De Vega, giornalista del quotidiano spagnolo El Pais, gli abitanti di Bucha raccontano che i russi molto spesso distruggono i telefoni per evitare fotografie e contatti. Il cronista ne ha fotografato alcuni trovati rotti sul posto.

Il racconto di un abitante di Bucha al Guardian Taras Schevchenko ha raccontato al Guardian che “i corpi rovesciati dai carri armati si sono trasformati in tappeti umani, mentre i russi hanno sparato a morte anche agli anziani che si sono messi sulla loro strada”. E “i corpi morti giacevano nelle strade, non ci permettevano di spostarli”. Poi Schevchenko ha riferito di un omicidio che, specifica il Guardian, “non può essere verificato in modo indipendente. “C’era un nonno, stava camminando con sua moglie, stavano per attraversare la strada, sono stati fermati da alcuni russi. Sapete come sono questi vecchi, a cui piace rispondere e cose del genere. Così gli hanno sparato, e alla donna hanno detto: ‘Continua a camminare’. Lei si è precipitata da suo marito e ha iniziato a piangere, e loro hanno detto: ‘Se vuoi sdraiarti accanto a lui, possiamo sparare anche a te’. Lei ha detto loro che doveva prendere il corpo, ma loro hanno detto: ‘No, continua a camminare’. E lei ha continuato a camminare, piangendo e camminando. È successo vicino a un McDonald’s, a 30-40 metri da casa mia”.

L’uomo in ostaggio per un mese a Bucha intervistato da RepubblicaVladislav Kozlovskiy è rimasto prigioniero di un rifugio antimissili a Bucha per circa un mese. La sua testimonianza è stata raccolta da Brunella Giovara su Repubblica. Racconta di “bambini e donne uccisi a sangue freddo” e “gli uomini rastrellati un colpo alla nuca”. “Ogni giorno c’era da seppellire qualcuno. Venivamo fatti uscire e lavorare. Erano tutti colpiti alla nuca, avevano le facce tagliate e altre ferite sul corpo”. La ventina di cadaveri sulla via Kirova, “sono stati lasciati lì perché nessuno ha avuto il coraggio di andare a prenderli” e sono stati lasciati lì perché ammazzati con la mitragliata finale dei russi. “Altri testimoni raccontano di case vandalizzate, di perquisizioni alla ricerca di soldi, gioielli, cibo. Ma questo è niente visto che alcuni soldati hanno ucciso gli abitanti di una casa, hanno buttati i cadaveri giù dai letti e si sono messi a dormire lì”.

Le testimonianze raccolte dall’agenzia Ansa – “L’orrore nel nostro villaggio è cominciato il pomeriggio del 4 marzo”, racconta la testimone sul posto Tamara all’inviato dell’agenzia Ansa, “quando una ventina di tank russi hanno attraversato questa strada incolonnati e hanno cominciato a sparare con i kalashnikov all’impazzata sulle nostre case e sulle macchine che incrociavano, schiacciandole. Non evacuavano, sparavano. E con alcuni tank hanno sfondato le case”. Sempre conl’inviato Ansa ha parlato anche il prete della chiesa ortodossa di Sant’Andrea Bucha, Andryi Galavin: “Dal 10 marzo arrivano decine di corpi a tutte le ore ogni giorno. Finora ne ho contati 68: donne, uomini, bambini, molti non identificabili per i colpi inferti ai loro corpi martoriati. I parenti delle vittime possono venire qui solo adesso perché prima i soldati russi non lo permettevano”.

Le prove raccolte da Human Rights Watch – L’organizzazione non governativa Human Rights Watch al Wall Street Journal parla di “prove di crimini di guerra. Il gruppo per i diritti umani spiega di aver intervistato una donna che ha visto le truppe russe radunare cinque uomini e sparare a uno di loro alla nuca, uccidendolo. “Abbiamo documentato un evidente caso di esecuzione sommaria da parte delle forze armate della Federazione Russa a Bucha il 4 marzo scorso”, ha affermato una portavoce dell’ong.

I corpi della capo villaggio, del marito e del figlio giocatore di calcio – Il 3 aprile il capo dei soccorritori locali Serhii Kaplychny, secondo quanto riferito da Bfmtv, ha denunciato di aver trovato i corpi di 57 persone in una fossa comune. In un’altra fossa comune, ha riportato l’agenzia ucraina Unian, c’è anche Oleksandr Sukhenko, ex calciatore del club Seagull Second League, ucciso insieme ai genitori. Sua madre Olga Sukhenko era il capo del villaggio di Motyzhyn e suo padre Igor Sukhenko era il presidente della squadra di calcio locale Kolos.

Le immagini satellitari della fossa comune – Immagini satellitari della cittadina ucraina di Bucha mostrano una trincea di circa una quindicina di metri, scavata nel terreno di una chiesa, che indicherebbe la presenza di una fossa comune per i cadaveri dei civili uccisi. Le immagini, riporta il Guardian, sono state riprese il 31 marzo dalla società privata Usa Maxar Technologies, specializzata in immagini satellitari. Secondo la società, i primi segnali degli scavi della fossa comune sono stati rilevati il 10 marzo.

L’italiano scappato da Bucha all’agenzia Adnkronos – Le “persone morte per la strada”, le ”macchine che saltavano in aria” e “la paura dei cecchini nascosti dappertutto” in quella che era diventata “una città fantasma”. Questa la Bucha, “una catastrofe indescrivibile”, vista dall’imprenditore torinese Gianluca Miglietta quando, dopo sei giorni e sei notti nello scantinato del condominio dove viveva alle porte di Kiev, ha deciso di uscire per mettersi in salvo. “Una decisione difficile, poteva essere il mio momento e invece grazie a Dio ce l’abbiamo fatta, ma per altri non è stato così”, dice ad Adnkronos dalla provincia di Torino dove ora si trova insieme alla moglie Iryna. “Il mio cervello è ancora sotto shock” e “per me è impossibile dimenticare quello che ho visto”, anche se le immagini di Bucha circolate in questi giorni rappresentano “l’un per cento della realtà orribile che sta vivendo l’Ucraina”. Cita, a proposito, “il massacro delle donne, stuprate e uccise. Poi gli passano sopra con il carro armato, come si può definire tutto questo?”. Dalle immagini viste dall’Italia, Miglietta ha riconosciuto “la mia chiesa, quella di fronte a casa mia a Bucha, dove andavo il sabato o la domenica. C’era un prato, lo stavano sistemando prima della guerra, e ora c’è una fossa comune, sacchi neri con dentro corpi”. E poi ci sono “le madri e i figli che vengono seppelliti nei terreni di fronte ai condomini. Non sono più persone, non ci sono più i visi, non hanno più le identità, non sono più riconoscibili. E’ atroce”. Il suo pensiero va a quel 2 marzo in cui è riuscito a uscire dallo scantinato. “Mi sono trovato davanti agli occhi delle scene agghiaccianti di distruzione e morte. A terra c’era di tutto. C’erano corpi, ragazzini, hanno sparato ai bambini”, racconta. “Solo ieri hanno ucciso un ragazzino di 14 anni con la fascia bianca al braccio per segnalare che era un civile. Ma allora cosa dice il sindaco che Bucha è stata liberata?”, prosegue, aggiungendo però che “ci vorrà tempo prima che davvero sia libera dai russi, magari ce ne sono ancora di nascosti, ‘travestiti’ da civili”. Agli altri, quelli rimasti a Bucha, l’imprenditore non smette di pensare. “E’ da due settimane che non riesco a mettermi in contatto con 40, 50 persone che conosco e che sono rimaste lì. C’è l’anziano Oleg, che ha deciso di restare nella sua città, ma che non mi risponde da un po’. E ci sono le donne, giovani e anziane, che erano come me nello scantinato”, racconta. C’è anche chi ce l’ha fatta, “due donne, con i loro bambini, ora sono al sicuro in Germania”. Per gli altri contatti, “spero che non siano tra i morti”.