Il caso per l’omicidio di Simonetta Cesaroni, uccisa con 29 coltellate il 7 agosto del 1990, in un appartamento di via Poma a Roma, sarebbe stato riaperto. La Procura, secondo quanto riporta Il Foglio con un articolo di Massimo Lugli, avrebbe riavviato l’attività istruttoria ascoltando testimoni dell’epoca tra cui l’allora dirigente della Squadra mobile di Roma, Antonio Del Greco. Le nuove indagini riguarderebbero un sospettato che già all’epoca dei fatti finì nel mirino degli investigatori. Il suo alibi, a distanza di 32 anni, potrebbe essere smentito da nuovi elementi.

A riaprire le indagini la pm Ilaria Calò, lo stesso magistrato che sostenne l’accusa contro Raniero Busco, l’ex fidanzato della vittima condannato a 24 anni nel 2011 e assolto definitivamente In Cassazione. Stando a quanto riporta il giornalista, esperto del caso e autore di un romanzo sul caso proprio Antonio Del Greco, il sospettato avrebbe mentito fin dall’inizio negando di aver mai conosciuto la giovane donna e fornendo a chi indagava una ricostruzione degli spostamenti non precisa. Di nuovo nel campo di indagine entra il nome del portiere Pietrino Vanacore, arrestato nelle ore successive al delitto e scarcerato tre settimane dopo. Sui suoi pantaloni furono individuate alcune macchie di sangue, ma le analisi rivelano che non erano riconducibili alla vittima. Vanacore è morto suicida l’8 marzo del 2010, alla vigilia della sua deposizione in Corte d’Assise.

Due anni fa alla procura, nel 30° anniversario dell’omicidio, l’avvocata di parte civile aveva rivolto un appello agli inquirenti: “Resta il dolore e restano tanti dubbi: il pm dia segnali, le indagini potrebbero essere riaperte”. L’assassinio di via Poma aveva detto “rappresenta una sconfitta per tutto il sistema giudiziario italiano, una sconfitta per lo Stato. Bastava qualche approfondimento in più ma ciò non è stato fatto”. Mondani citava alcuni misteri irrisolti legati al caso. Ad esempio il morso trovato sul corpo di Simonetta, per cui la famiglia ha sempre chiesto che si facesse una nuova perizia.

Fra gli indagati della prima inchiesta era finito Salvatore Volponi, datore di lavoro della Cesaroni, poi archiviato dopo alcuni mesi di indagini. E nel 1992 Federico Valle che abitava nel palazzo di via Poma e secondo i pm nella notte del delitto aveva ospitato Vanacore. Valle venne tirato in ballo dalle dichiarazioni dell’austriaco Roland Voller, amico di sua madre, secondo cui la donna gli avrebbe confidato che il figlio, proprio il 7 agosto, tornò sporco di sangue da via Poma. Un anno dopo Valle viene prosciolto per non aver commesso il fatto e Vanacore perché il fatto non sussiste.

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