“Quello che cerco nella fotografia è una dimensione che racconti gli invisibili, i miserabili della Terra, l’umanità nascosta, quella che dà fastidio per la sua sola esistenza: gli esclusi”. Così Valerio Bispuri, fotografo e fotoreporter romano, ha voluto presentare il suo nuovo libro, “Dentro una storia”, in uscita il 3 marzo 2022 per Mimesis. e che sarà presentato al Bookpride di Milano sabato 5 (ore 17,30).

Il giornalista e direttore de L’Espresso, Marco Damilano, introduce l’opera, in parte riprendendo le parole del fotografo stesso, sintetizzando “il senso del suo lavoro: far vedere quello che non si vede, gli invisibili, i dannati della terra, gli scarti dell’umanità. Le loro ferite”. Lo stesso Damilano poi presenta Bispuri: “Dalla facoltà di Lettere all’università di Roma e dagli studi di Antropologia culturale, il periodo in cui si rinchiudeva per intere giornate nella camera oscura, tra ‘l’odore degli acidi e la luce rossa’, ‘aspettando che le immagini apparissero sulla carta, a volte dimenticavo anche di mangiare’, a ‘vedere come su un foglio apparissero lentamente le forme, le linee di ciò che avevo scattato’, fino ai barrios argentini al carcere García Moreno in Ecuador, fino a una tenda di paglia in Mali. Il passaggio interiore dal coraggio alla pazienza: ‘Sono due cose che porto con me. Il coraggio mi è sempre appartenuto, la pazienza l’ho costruita con molta fatica’”. In quest’opera Bispuri raccoglie infatti le sue memorie, in un flusso che parte dal primo scatto fino all’ ultimo progetto, e che curiosamente termina dove tutto era iniziato: un campo rom della Capitale.

Fin dai primi capitoli del libro, Bispuri spiega che l’aspetto fondamentale del suo lavoro è il racconto, da non confondere però con la pura cronaca: “Non mi interessava raccontare gli avvenimenti, la cronaca del mondo, ma entrare dentro l’essere umano: volevo andare a fondo, prendermi il tempo per analizzare, scoprire, conoscere“. E da questo suo approccio deriva il filo conduttore di tutta la sua opera: l’alienazione. Che ha cercato di affrontare in ogni suo percorso.

Il paco – Uno dei progetti più importanti portati avanti da Bispuri è quello che tratta il tema della droga e della tossicodipendenza nell’America del Sud, con un focus sull’Argentina: “Ero a Buenos Aires per lavorare a un progetto sulla diffusione di una droga terribile, chiamata ‘paco’, nelle periferie devastate al limite della città”, spiega. “Era il 2008 quando ho conosciuto Juan, un bambino di 8 anni dai grandi occhi neri”. La madre era una spacciatrice di paco e “preparava le dosi in bustine nere e le lasciava sul tavolo da pranzo come se fossero state delle caramelle. Questo è stato fatale. Un pomeriggio d’estate Juan ha pensato che quelle bustine fossero davvero caramelle e ne ha ingerite tre dosi. Il suo corpo si è sbriciolato, il sistema nervoso non ha retto e lui è rimasto paralizzato”. Quindi Bispuri racconta anche il viaggio nelle “cucine” in cui si produce questa sostanza, impresa per la quale ci sono voluti mesi di preparazione e che ha infatti rappresentato l’ultimo atto del suo lavoro sul paco in Argentina.

Il mondo delle prigioni – Poter raccontare con la fotografia vuol dire prima di tutto scendere in profondità, capire il significato di uno sguardo, di un gesto, di un movimento”. Queste le parole del fotoreporter per descrivere il mondo dei sordi: “Ricordo una notte in cui ero a tavola con trenta sordi: a un certo punto, uno di loro, Sergio, ha alzato le mani alle orecchie, come se volesse metterle in evidenza, e ha cominciato a ridere. Quel gesto è diventato il simbolo del mio lavoro sul mondo dei sordi”. Bispuri spiega inoltre che “qualcosa di simile mi è successo anche osservando gli occhi di un detenuto consapevole del fatto che sarebbe rimasto rinchiuso per pochi anni o per tutta la vita: avevano un buio dentro che dava le vertigini”. Bispuri ha portato avanti uno dei suoi progetti più importanti proprio sulle carceri del Sud America, 74 in totale. Un progetto nato per caso, quando si trovava nella capitale dell’Ecuador, Quito. Il fotoreporter definisce la sua prima esperienza come “disastrosa, ma utile per capire alcune cose importanti su quello che poi è diventato un modo di fotografare, un pensiero, una maniera di “affrontare la vita”. Ma l’esperienza più forte l’ha vissuta a Mendoza, in Argentina, nel carcere di San Felipe, uno dei più pericolosi e malfamati del Paese. Passò due ore in uno dei padiglioni peggiori, il numero 5, ascoltando “storie di violenza e miseria”. Tre anni dopo, nel 2009, le foto saranno esposte nel centro culturale di Recoleta, ma non solo: grazie agli scatti di Bispuri e dopo l’intervento di Amnesty International e del governo, il padiglione numero 5 viene chiuso.

Gli esclusi “I ricordi di quel viaggio si mischiano con una strana sensazione di libertà e di passaggio interiore, attraverso tanti luoghi fisici e dell’anima, di persone incontrate, avventure e pericoli”. È la descrizione che l’autore dà del suo primo viaggio nell’America meridionale, che lui definisce “cheguevariano”, e durante il quale prende coscienza di ciò che vuole fare: “Volevo raccontare con la fotografia, fare il fotoreporter e desideravo andare a vivere per un po’ in Sudamerica per provare a raccontare quel che avevo intravisto nei quattro mesi di viaggio”. Questo viaggio lo ha aiutato anche a maturare l’idea di raccontare appunto i miserabili e gli invisibili, cioè gli esclusi. Ma in realtà la sua prima esperienza con gli esclusi, Bispuri l’ha avuta proprio a Roma, prima ancora di partire per il mondo. Il fotoreporter ricorda infatti che, quando era più giovane, “per andare all’università, ogni mattina passavo con il mio vespino bianco davanti a un campo rom”. “Un pomeriggio di ottobre mi decisi, lasciai la mia vespa a qualche decina di metri dall’accampamento ed entrai”. Così scopre un nuovo mondo: “I rom hanno dei gesti, delle movenze, delle espressioni che nascono dalla loro cultura, dai loro codici”. Ed è sempre qui che torna dopo un ventennio per concludere il suo lungo viaggio: “L’idea era quella di ricominciare là dove avevo iniziato a fotografare, per vedere se era cambiato qualcosa”. “La prima impressione è stata che le cose fossero peggiorate: l’incuria e l’abbandono avevano creato ancora più degrado e isolamento per quei rom che erano italiani a tutti gli effetti ma che erano comunque ghettizzati e lasciati al di fuori del nostro contesto sociale”.

La fotografia è un mezzo che Valerio Bispuri usa per “rendere umani e cercare di liberare chi non ha la forza per farlo”. “Mi piace credere che questo sia possibile e che un semplice scatto possa scavare dentro alle persone tanto da far riemergere un’umanità sommersa e dimenticata”. Ed è questo mondo nascosto e dimenticato che il fotoreporter romano cerca di raccontare e riportare alla luce, documentando appunto i suoi viaggi e i suoi progetti fotografici, in Dentro una storia, il nuovo libro che, insieme a Marco Damilano e Francesca Adamo presenterà al Bookpride di Milano sabato 5 marzo, alle ore 17.30, sala Cristina Campo.

Twitter: @youssef_siher

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