“Da 4 giorni siamo chiusi in cantina, io e gli altri abitanti del villaggio di Radinka. Ci sono molti bambini, abbiamo poco cibo, ma non possiamo uscire, se non per prendere dell’acqua da un pozzo vicino. Abbiamo paura dei soldati, sono di nazionalità cecena e bielorussa”. Nadezhda Lishilenko ha 73 anni e da più di 40 insegna alla scuola di Radinka, provincia di Ivankiv, minuscolo villaggio ucraino a una manciata di chilometri dal confine bielorusso, ma soprattutto dalla zona di esclusione prossima all’ex centrale nucleare di Chernobyl. L’invasione dell’Ucraina da parte delle forze militari di Mosca è arrivata anche da nord e i primi territori e centri abitati a essere occupati sono quelli a ridosso del confine. Nonostante Minsk abbia negato sin qui di aver preso fattivamente parte alla campagna militare contro l’Ucraina, la dottoressa Lishilenko non ha dubbi sulla provenienza di quelle truppe: “Mi sono soffermata a osservare le scritte sui mezzi, le uniformi e poi li ho sentiti parlare e dagli accenti ho capito che si trattava dei nostri vicini bielorussi e di ceceni. Un nostro concittadino mi ha dato la conferma, se ce ne fosse stato bisogno. Lui, alzando le mani con un fazzoletto bianco ha chiesto da dove venissero e quali fossero le loro intenzioni nei confronti dei residenti di Radinka. Oltre alla conferma sulla loro provenienza gli hanno risposto che il loro unico obiettivo è il presidente ucraino Zelensky, e non loro”.

Con le telecamere dei media internazionali ben presenti in altre aree dell’Ucraina, dalla capitale Kiev ai territori contesi del Donbass e della Crimea, la salvezza e l’incolumità degli abitanti di Radinka passa dai contatti social. La situazione nel villaggio al confine tra Ucraina e Bielorussia è davvero difficile: “L’altro giorno, quando è iniziata l’offensiva militare”, prosegue Nadezhda Lishilenko, “abbiamo sentito il rombo degli aerei, poi le urla della popolazione del villaggio, lo sfrigolare dei cingoli dei carri armati. Inizialmente tutti si sono riversati in strada – e a Radinka ce ne sono poche – per poi precipitarsi verso la scuola che ha una grande cantina dove ripararsi, un buon rifugio. Da allora tutto il villaggio, meno di 500 persone, vive qui dentro, l’unico posto sicuro, lontano dai soldati. Il primo giorno ci siamo nascosti, sentivamo il continuo passaggio di mezzi militari attorno alla scuola, ma poi i soldati ci hanno notato. Non abbiamo subìto alcuna violenza fino a questo momento, loro sembrano interessati esclusivamente alle truppe: infatti a Ivankiv la situazione è molto diversa, lì si combatte, ci sono vittime”.

La scuola di Radinka accoglie tutti i bambini dei minuscoli villaggi lungo il fiume Teteriv, circa 200 nel complesso, e i corsi didattici, come nello stile russo, vanno dalle nostre elementari alle superiori. Dentro quella scuola c’è tanta Italia, anche nel dramma in corso. Da anni la ong piemontese Mondo in Cammino aiuta la popolazione del minuscolo villaggio e in particolare la scuola frequentata nel periodo pre-bellico appunto da 200 bambini. Una collaborazione solidale senza squilli di tromba, ma basata sui fatti. Il rapporto è nato nel 2014, in contemporanea all’avvio del conflitto a ‘bassa intensità’, come dicono gli esperti, nelle province di Donetsk e Lughansk. Da allora l’associazione di Carmagnola (Torino) segue alcuni progetti tra Radinka e il capoluogo territoriale Ivankiv. In particolare a Radinka è attivo il progetto ‘Cibo pulito’. L’iniziativa consente a tutti i bambini di poter usufruire di prodotti della terra non contaminati (vista la vicinanza al reattore nucleare esploso il 26 aprile del 1986 nei pressi di Pripyat, la città fantasma ridotta da quasi 36 anni a uno scheletro), dalle verdure alla carne. Così gli alunni di Radinka da anni e per tutto il corso didattico annuale, possono contare su un pasto completo a pranzo e la merenda nel pomeriggio. Con i fondi raccolti Mondo in Cammino oltre a procurare prodotti locali sani e di qualità riesce anche a garantire il salario minimo delle cuoche. Come accennato in precedenza le cose stanno andando peggio a Ivankiv: “Siamo in costante contatto con le persone a noi care sul posto”, aggiunge Gianni Nocchi, presidente di Mondo in Cammino che lì collabora con un centro di ricerca medica, “Poco fa un nostro collaboratore ucraino ci ha detto che le truppe entrate in città (il centro abitato di Ivankiv conta alcune migliaia di abitanti, ndr) sparano a vista sulle persone in giro. Nessuno può uscire dai rifugi. Lì i bombardamenti sono stati pesanti, la città inoltre è stata isolata dopo l’abbattimento del ponte che collega alla strada per Kiev. Siamo molto preoccupati per tutti loro e speriamo di poter tornare presto in quelle zone una volta finito questo incubo”.

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