A mezzo secolo dalla nascita della Regione, in molti confidavano che la riforma dello statuto del Consiglio regionale toscano sarebbe stata l’occasione per ridefinire l’istituzione forse più contestata in Italia, tra vitalizi e spese folli. E invece, almeno in Toscana, tutto si è risolto in un allegro balletto di poltrone e sgabelli. Sì perché il nuovo statuto, approvato nei giorni scorsi, in attesa di una seconda lettura, fra tre mesi, se nessuno chiederà l’indizione di un referendum confermativo, prevede l’aumento da otto a nove assessori (il governatore Eugenio Giani ne voleva due in più) e da cinque a sette membri dell’ufficio di presidenza.

Moltiplicazione delle poltrone davvero insolito se si considera che dei quaranta consiglieri, sedici, quasi la metà, hanno incarichi e poltrone in giunta e nel consiglio. E per la prima volta è stata istituita la figura del sottosegretario alla presidenza. È vero che ce l’ha anche la Lombardia, che però ha oltre 10 milioni di abitanti contro i 3 milioni e 700mila della Toscana. Figura, quella del sottosegretario, che sarà ricoperta dall’ex sindaco di Piombino Gianni Anselmi: ancora non è stato nominato, ma è già immortalato nelle foto della giunta Giani. Così tutta la costa tirrenica è rappresentata, da Grosseto a Livorno, da Pisa a Lucca, salvo Massa Carrara, e se fosse dipeso da Giani un assessorato l’avrebbe avuto anche il massese Giacomo Bugliani, avvocato, ex renziano.

Anche la scelta dei due membri dell’ufficio di presidenza ha fatto molto discutere se si considera che ora sono 7 a fronte di un consiglio di 40 e 7 erano anche quando il consiglio di consiglieri ne aveva 65. E l’intero pacchetto – sottosegretario e due membri dell’ufficio di presidenza – avrà un costo stimato in 300mila euro. “Ne valeva la pena?”, si chiedono in molti a Palazzo Panciatichi, sede del parlamentino toscano. E c’è chi rimpiange l’austerità dell’ex presidente Enrico Rossi che, divenuto governatore, fece cambiare il parco auto: non più le Volvo ma le più popolari Punto. Così come l’ex presidente del consiglio Alberto Monaci diede, si racconta, “una bella sforbiciata” agli affitti. Risultato? Riduzione dei costi del Consiglio da 21 a 17 milioni.

Firenze chiama Roma. La singolarità della vicenda toscana sta anche nel suo pedissequo richiamo alla politica nazionale. “Non si tocca foglia che Roma non voglia”, si lamentano a Firenze. La riforma dello statuto toscano doveva inizialmente riproporre la maggioranza che sorregge il governo Draghi, con l’inclusione addirittura di Fratelli d’Italia. Alla fine invece hanno votato a favore solo Pd, Forza Italia e Movimento 5 stelle: cioè 24 consiglieri su 40. Il partito della Meloni, che in un primo tempo aveva espresso il suo consenso alla riforma, dopo l’elezione di Mattarella e la rottura con la Lega, ha cambiato radicalmente posizione. Il voto sullo statuto della Toscana ha riflesso e quasi fotografato le divisioni nel centrodestra: Forza Italia con Giani, Fratelli d’Italia all’opposizione e la Lega astenuta. Così come il voto contrario dei renziani riflette la situazione politica nazionale. Il M5s infatti ha votato sì e così entra nell’ufficio di presidenza, ma Italia Viva vede come il fumo nell’occhio l’intesa del Pd con i cinquestelle.

Nel voto di inizio febbraio, è arrivato infatti a sorpresa il sì delle grilline Silvia Noferi e Irene Galletti. La nostra decisione, hanno dichiarato, “è motivata dall’esigenza di dare corpo a una esigenza manifestata e condivisa da tutte le forze politiche di garantire la rappresentanza delle minoranze“. E stavolta il Pd ha votato a favore della presenza del M5s nell’ufficio di presidenza. Presenza che sarà garantita dal fatto che uscirà un dem. Galletti però nega: “Non saremo la stampella di Giani”.

Sul fronte del Partito democratico non sono mancati i problemi: non ha partecipato al voto il presidente della commissione Affari istituzionali Giacomo Bugliani, massese, Pd, che aspirava ad un posto di assessore. Ma che ha giustificato la sua astensione mettendo pubblicamente sotto accusa l’aumento dei costi per i cittadini: “La mia”, ha detto in Aula poco prima del voto, “è una decisione dissenziente rispetto al gruppo a cui appartengo e che mi costa fatica ma che ho preso perché mi ritengo una persona coerente”. Quindi ha precisato che in consiglio “è arrivata una riforma dello Statuto che snatura la volontà del presidente della Giunta“. Infine, ha dichiarato, “rispetto l’intelligenza degli altri, in primis dei cittadini. Alla proposta originaria, che prevedeva un adeguamento alla legge nazionale, ci si è opposti con l’argomentazione che aumentavano i costi della politica. È un’argomentazione legittima e che merita rispetto, ma che doveva valere a questo punto per la proposta attuale. Perché, checché se ne dica, questa riforma prevede un aumento di costi“.

I leghisti invece hanno espresso la loro doppia anima. Di chi sta con il fronte Draghi e chi non intende perdere i contatti con la destra meloniana. Risultato: meglio stare fuori dall’Aula e astenersi. Fratelli d’Italia ha votato contro, nonostante i tentativi iniziali di raggiungere un’intesa trasversale. “Se la maggioranza non è in grado di trovare un accordo al suo interno, non spetta certo noi correre in suo aiuto”, ha dichiarato in una nota Francesco Tosarelli, capogruppo Fdi. “Questa la realtà, poi siamo entrati nel surreale. I pentastellati che avevano sempre dichiarato di essere contrari, hanno cambiato idea e sono corsi in aiuto del Pd, mentre dalla maggioranza ha continuato a sfilarsi Italia Viva. Prendiamo atto che in Toscana si è costituita una nuova maggioranza, dove il Movimento 5 Stelle entra in maggioranza e Italia Viva vota contro la riforma voluta dal governatore”.

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