“Ordino al ministro della Difesa e al capo di Stato maggiore di mettere in allerta speciale le forze di deterrenza dell’esercito russo, in risposta alle dichiarazioni aggressive dell’Occidente“. Tradotto: schieriamo i sistemi di deterrenza nucleare. Le parole pronunciate da Vladimir Putin nel corso del quarto giorno di campagna militare in Ucraina e poche ore dopo la decisione di Ue, Usa, Gran Bretagna e Canada di imporre un nuovo pacchetto di pesanti sanzioni nei confronti di Mosca, portano lo scontro tra la Federazione russa e il blocco occidentale a livelli che non si raggiungevano dalla sfiorata guerra nucleare del 1983 o dalla crisi dei missili di Cuba. “Il passaggio a un conflitto nucleare avrebbe conseguenze devastanti. I missili tattici posizionati ai confini dell’Ue in territorio russo hanno una gittata e una potenza minore rispetto a quelli intercontinentali in grado di colpire gli Stati Uniti, ma creerebbero comunque una devastazione ben superiore a quella dei bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki – spiega a Ilfattoquotidiano.it la responsabile per il nucleare di rete Disarmo, Lisa Clark – Ma non dimentichiamoci della possibilità anche dell’uso di armi convenzionali su una delle centrali nucleari in Ucraina“.

Innanzitutto occorre decifrare le dichiarazioni del presidente russo. Per “sistema di deterrenza nucleare” si intende l’attivazione dei sistemi missilistici con testate atomiche con l’intento di scoraggiare qualsiasi tipo di attacco da parte del nemico. “Parole – spiega Clark – che però sono indecifrabili per il contesto nel quale ci troviamo adesso. Si tratta della solita dottrina ipocrita utilizzata dalle grandi potenze da 40 anni. Quando il presidente russo dichiarò che avrebbe utilizzato ‘ogni mezzo in suo possesso’, aveva più senso. Ma utilizzare la parola ‘deterrenza’ in riferimento alle forze ucraine, le uniche con le quali al momento si sta scontrando militarmente, non ha senso perché queste non dispongono di una tecnologia in grado di sferrare un attacco nucleare alla Russia”. Dalle parole del leader del Cremlino si capisce che come un attacco interpreta le sanzioni economiche imposte dagli alleati occidentali e il sostegno economico e militare, attraverso rifornimenti, fornito a Kiev, ma non è chiaro quale sia la sua linea rossa.

Di sicuro c’è che le sue parole hanno portato il rischio del conflitto nucleare a livelli mai raggiunti dal 1983, quando l’Unione Sovietica armò i suoi missili balistici pronta a sferrare un attacco dopo aver scambiato un’esercitazione Nato per un tentativo di attacco. Serve poi tornare alla crisi missilistica di Cuba, sotto l’era Kruscev-Kennedy, per trovare un altro esempio di tale portata, anche se l’unica volta che le armi nucleari sono state effettivamente utilizzate contro la popolazione fu durante i bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki. “Le conseguenze, nel caso in cui si arrivasse veramente a uno scontro nucleare, sarebbero però ben più disastrose – continua Clark – Le bombe sganciate in Giappone non sono nemmeno paragonabili per potenza alle circa 6mila testate in mano alla Russia. Per rendere l’idea, le due bombe su Hiroshima e Nagasaki provocarono un cerchio radioattivo di circa 20 chilometri. Ecco, quelle posizionate ai confini tra Russia e Ue, senza nemmeno nominare i razzi intercontinentali, ben più potenti, hanno una capacità stimata tra le 10 e le 20 volte superiore rispetto agli ordigni del 1945″.

Secondo Clark, comunque, l’ipotesi di un uso di testate nucleari a breve gittata non è lo scenario peggiore: “Le bombe atomiche hanno una capacità distruttiva che rade al suolo tutto ciò che rientra nel loro raggio d’azione, ma non hanno capacità di propagazione ampia come un incidente in una centrale nucleare. Ecco, se Putin invece di utilizzare le testate decidesse di bombardare una delle centrali nucleari ucraine, quello sarebbe un disastro ben peggiore”.

Twitter: @GianniRosini

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