“Che ci sosteniate o no noi combatteremo, ma i prossimi sarete voi. Non dovete sporcarvi le mani con il sangue altrui, ci servono le armi, e vere sanzioni alla Russia. Parlo come ucraina, ho diversi familiari nelle zone colpite. Parlo come una di quelle donne e di quegli uomini che hanno figli, mariti e genitori che sotto le bombe in questi minuti e rischiano la vita. Mi perdonerà se sono agitata”. Alesya Tataryn è presidente dell’Associazione Italia-Ucraina Maidan, fondata dopo la rivolta filo-europea di Maiden del 2014, che ha inviato 200 tonnellate di aiuti umanitari, negli ospedali, negli orfanotrofi nelle le zone grigie del fronte di Crimea e Donbass. Vive in Italia da 26 anni, ha fatto la rappresentante, l’insegnante e la sarta prima di prendere sotto braccio la causa dell’indipendenza del suo Paese dalle mire di Mosca.

Nel giorno dell’attacco a Kiev risponde al telefono ma è una contraerei di umana disperazione per quel che accade, di ora in ora. “Ho sentito proprio ora i miei familiari che vivono in una delle aree colpite. Da stamattina ho avuto molte difficoltà a chiamare su Wiber e su altri operatori. Si vede che hanno colpito anche le reti”. Stanno bene, dice, “ma mi comprenda se mi accaloro tanto. Le persone che sento a Kiev stanno pensando a evacuare bambini nei paeselli di campagna dove non bombardano per liberare le mani e per poter combattere”. Da otto l’associazione, come altre, urla ai quattro venti che il mondo stava sottovalutando la portata delle minacce di Putin. “Abbiamo assistito a reazioni di indifferenza alle aggressioni militari e alla propaganda russa. Ci hanno additati come fascisti e nazisti, sull’onda della disinformazione che ancora oggi Putin usa per giustificare l’invasione. Mentre da qui organizzavamo corridoi per portare aiuti umanitari alle aree sotto assedio lo abbiamo gridato all’Italia e al mondo: attenti a prestare il fianco all’imperialismo del Cremlino, esporrà tutti al rischio di una guerra ai confini dell’Europa. E qui siamo, anche sotto le bombe dobbiamo ripetere che non si tratta dell’Ucraina”.

Alesya è certa che il suo popolo opporrà una “strenua resistenza”. “Non facciamo come nel 2014 che non avevamo nulla, adesso combatteremo fino all’ultimo. I nostri amici stanno rientrando in Ucraina e non sono militari, non hanno neppure fatto la leva perché non esisteva neppure fino alla guerra della Russia del 2014, sono semplici operai, calzolai, professori, studenti. Stanno tornando per combattere, portano i figli nelle piccole città e campagne per essere liberi di combattere. Combatterà fino all’ultimo soldato. Ma l’Occidente deve capire che caduto quello i prossimi sarete voi. Putin stesso lo ha detto, minacciando reazioni mai viste prime in caso di interferenze”.

Il precipitare della situazione ai suoi occhi è solo una conferma. “Il mondo ora si sconvolge, ma dico, con tutto quello che gli avete permesso di fare fino ad oggi? Se le armi di Mosca stanno dappertutto, anche nel Mediterraneo, di chi è la colpa? Mentre state a ragionare di gas e sanzioni quello potrebbe bombardare una qualsiasi capitale d’Europa. Appena qualcuno risponde, che sia con sanzioni o aiuti militari. E allora vi toccherà stare in ginocchio tutta la vita davanti a un dittatore che vuole riscrivere da zero la storia e non solo dell’Ucraina, ma del mondo intero. Il nostro paese ha 3mila anni di storia ma per lui è un’invenzione di Lenin. Ma la situazione è talmente grave che non si tratta più di Ucraina soltanto”.

La parola “sanzioni” l’accende come poche altre. “Che siano vere però. Sapete perché i russi dicono, e dimostrano nei fatti, di non temerle? Perché esistevano sulla carta. Gli italiani stessi, il Paese che mi accolto, hanno sempre collaborato aggirandole con triangolazioni delle aziende via Jugoslavia, Bulgaria, Slovenia e continuano a lavorare con la Russia di Putin. Potete metterlo fuori dei giochi, con sanzioni severe e iniziando a scrivere la verità e assumendo delle responsabilità. E’ evidente agli occhio del mondo che Putin non mantiene le promesse, che gli impegni che prende valgono meno della carta su cui sono scritti. Se fino a ieri il mondo si accomodava al pensiero che non fosse tanto pazzo da precipitare il mondo in una guerra ora ha la certezza che non sia così. Quel che accade all’Ucraina, ci riguarda tutti”.

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