“Come magistrato la giudico una legge piuttosto difficile da applicare, come cittadino la giudico male. Non mi è piaciuta per niente, mi sembra che introduca il concetto della velina di regime“. Sono le parole nettissime con cui il procuratore facente funzioni di Milano, Riccardo Targetti, ha commentato il decreto legislativo sulla presunzione d’innocenza entrato in vigore lo scorso novembre, che impone pesanti restrizioni alla comunicazione delle autorità giudiziarie. Il decreto, varato dal governo in attuazione di una direttiva europea del 2016, prevede tra le altre cose che la diffusione di informazioni sui procedimenti penali sia consentita “solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre rilevanti ragioni di interesse pubblico” e che il procuratore capo mantenga “personalmente i rapporti con gli organi di informazione esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa“. Le stesse modalità di comunicazione sono imposte agli ufficiali di polizia giudiziaria, previa autorizzazione del procuratore. La legge era stata criticata dai rappresentanti dell’Associazione nazionale magistrati durante la loro audizione in Parlamento e anche da pubblici ministeri impegnati contro la criminalità organizzata, come il consigliere del Csm Nino Di Matteo e il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri.

Nei mesi scorsi i capi degli uffici inquirenti più importanti d’Italia, compreso Targetti, hanno emanato circolari rivolte a colleghi e forze dell’ordine per chiarire le modalità di applicazione della nuova legge. “Mi sono chiesto, nel momento in cui ho redatto questa circolare applicativa, se non stavo addossando al procuratore della Repubblica – in questo momento a me stesso, ma a chiunque altro mi succederà – un grande potere, molto maggiore di prima, e se questo potere non è concentrato in maniera eccessiva per uno Stato democratico”, ha detto il procuratore pro tempore intervenendo a una tavola rotonda su “Presunzione d’innocenza e diritto di cronaca”, organizzata a Milano dall’Usigrai, il sindacato dai giornalisti Rai. “Però, da magistrato, io le leggi le applico, e quindi l’ho applicata. La concentrazione nelle mani della possibilità di dare informazioni relative al processo, sottraendola ai sostituti e agli altri magistrati dell’ufficio, c’era già dal 2006 ed era stata introdotta per spersonalizzare l’accusa”, ha spiegato. “La novità di questa legge, però, è che introduce il potere di vaglio del procuratore anche per le notizie provenienti dalle forze di polizia giudiziaria. E con ciò crea tutti i problemi che avete esposto: mettendomi nei vostri panni mi rendo conto dell’impossibilità di avere la verifica se la notizia percepita, raccolta, individuata con le vostre fonti sia vera oppure no”, ha detto rivolgendosi ai giornalisti.

“La verifica – ha aggiunto – è fondamentale, va fatta subito e la dovete chiedere a qualcuno: prima avevate più possibilità di chiederla, adesso molto meno, e questo è qualcosa che rende l’informazione monca. È corretto che in una democrazia viga questo sistema? Io ho cercato di delimitare la portata di questa normativa, intanto lasciando fuori tutto quello che viene prima del procedimento penale, per esempio tutta l’attività di carattere amministrativo svolta dalle forze dell’ordine, come le verifiche ispettive della Guardia di finanza. E poi la legge non riguarda le interviste, che per me possono essere sicuramente date, non dai magistrati – perché la legge del 2006 lo vieta – ma dai comandanti delle forze dell’ordine. Ho anche cercato di spiegare che l’interesse pubblico va valutato anche in relazione a un contesto locale”.

Più in generale, si chiede a proposito del concetto di interesse pubblico, “perché io, procuratore della Repubblica, devo decidere cosa è interessante o no? È un compito che spetta ai giornalisti, al mercato della notizia. Non devo essere io a stabilirlo. Vuol dire che 150 persone, i capi delle Procure, decidono quali informazioni arrivano a sessanta milioni di italiani. A me non piace questo sistema, non lo trovo molto sensato”. L’orientamento della Procura di Milano è molto diverso, però, da quello adottato per esempio a Roma, dove il neoinsediato procuratore Francesco Lo Voi ha chiesto ai comandanti delle forze dell’ordine di mettere un freno alle richieste di comunicati stampa, la gran parte dei quali – ha sostenuto – “si riferisce a vicende che – fermo restando l’interesse delle parti offese così come la lodevole attività realizzata dalle Forze dell’ordine – non rivestono una rilevanza tale da essere fatta oggetto di comunicato”.

“Con i miei colleghi”, ha concluso Targetti, “stiamo pensando, per rimediare, di creare una specie di ufficio stampa che abbia come funzione quella di interfacciarsi con voi giornalisti per darvi la verifica della notizia, che è quello che vi serve. Non è facile in una procura come quella di Milano, perché siamo settanta magistrati divisi in otto dipartimenti: a volte a voi questa verifica serve ad horas (immediatamente, ndr) e io dovrei avere un ufficio stampa, composto dai miei procuratori aggiunti, che mi indichino se la notizia è rilevante o no. Così da condividere almeno in parte questo enorme potere che la legge ha dato al procuratore della Repubblica, che per me è un potere assolutamente eccessivo”.

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