L’inflazione preoccupa i risparmiatori e la soluzione perfetta non esiste, ma quelle sbagliatissime invece sì. A clienti di Banca Intesa-Sanpaolo con cospicue somme parcheggiate sul conto è infatti arrivata una e-mail firmata da Stefano Barrese, alto dirigente della banca. Premuroso, li informa che con l’aumento del costo della vita i loro soldi valgono meno; e fin qui niente da ridire. Ma cosa dovrebbero fare per “evitare il rischio che in futuro valgano ancora meno”? Barrese gli consiglia esplicitamente di attivare un Piano di Accumulo su un fondo comune di investimento o un Premio Ricorrente su un prodotto di investimento assicurativo”.

Proprio in relazione al rischio inflazione, difficilmente potrebbe dare consigli peggiori, ma logicamente convenienti per la banca da cui è lautamente stipendiato. Della soluzione caldeggiata tutto è sbagliato. Già in generale i piani di accumulo di capitale (o pac) sono una trappola del risparmio gestito, sempre da evitare. Ma nella fattispecie è ancora peggio. Avendo per esempio sul conto 100mila euro, che rischiano di svalutarsi, converrà metterne in sicurezza almeno una parte rilevante. È strampalato limitarsi a una serie di piccoli impieghi addirittura, come scrive Barrese, anche di soli 50 euro al mese”. Così in mezzo secolo non si impiegherebbe neppure un terzo della giacenza sul conto.

Ma soprattutto, per difendersi dall’inflazione, sono inadatti i fondi comuni, i cui regolamenti non garantiscono nulla al riguardo. Peggio ancora i “prodotti di investimento assicurativo” che sono scelte suicide alla luce delle perdite disastrose subite con le polizze nei periodi passati di alta inflazione.

Per difendersi dal carovita, un risparmiatore deve fare la cosa più logica e per sua fortuna ora possibile, diversamente che negli anni 1973-1982. Deve cioè mettere o tenere le proprie disponibilità in soluzioni deputate proprio alla difesa del potere d’acquisto, in quanto strutturalmente agganciate al costo della vita, italiano o dell’eurozona. Tali sono i Btp Italia, i Btp-i ed equivalenti esteri, i buoni postali indicizzati all’inflazione, nonché il Tfr. Queste sono le alternative, con rispettivi pregi e difetti, adatte a difendere i risparmi dall’inflazione. Le banche non le consigliano, perché ci guadagnerebbero neppure un decimo di quanto raschiano via ai clienti con fondi e polizze; o addirittura non incasserebbero nulla.

Ma il dirigente di Banca Intesa non solo consiglia prodotti pericolosi per i risparmiatori, ma a rigore non è neppure vero che “il valore reale [dei risparmi], per effetto dell’inflazione, viene costantemente eroso”, come scrive Barrese. L’anno prima era al contrario aumentato, precisamente dello 0,6%. Mostrando una carente conoscenza della materia, farebbe bene a studiarla, magari seguendo il mio corso all’Università di Torino di Metodi per le Scelte Finanziarie e Previdenziali. Può iscriversi anche chi non è studente universitario (180 euro di tassa d’iscrizione, di cui per altro a me non viene nulla) e infatti parecchi risparmiatori lo fanno.

P.S.: A me la stessa e-mail di Stefano Barrese non è arrivata: evidentemente qualcuno in banca sa che non è così facile darmela da bere.

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